Pubblicato a puntate nel 1868 sulla rivista moscovita “Russkij vestnik”, L’idiota fu scritto freneticamente da un Dostoevskij incalzato dai debiti, tormentato dagli attacchi di epilessia, attratto dal canto di sirena della roulette. Eppure, nell’abisso della sua disperazione, il grande scrittore russo ha saputo dare un’opera di grande luminosità, uno di quei libri il cui valore artistico va oltre la qualità letteraria. L’idiota è infatti il romanzo in cui il realismo fantastico di Dostoevskij si misura con l’altissimo obiettivo di dare una rappresentazione artistica dell’uomo assolutamente buono. Un uomo, frammento del Cristo, attorno a cui prende vita quel mondo di tragedie e macchiette che è la Russia dell’Ottocento.

2022 RHC, Task 9: Leggi il libro che è da più tempo nella tua TBR (alias, lista dei libri da leggere)

Sto tergiversando da due mesi nel tentativo di mettere insieme i miei pensieri dopo la lettura de L’idiota: siccome dopo tutto questo tempo non ho affatto le idee più chiare, ecco a voi una bella recensione caotica della mia esperienza di lettura.

Il mio primo problema con L’idiota è che è un po’ come il suo protagonista, l’idiota del titolo che però si rivela essere molto intelligente: è una contraddizione insanabile tra il capolavoro della letteratura e la ciofeca immonda. Ci sono indubbiamente delle belle pagine ne L’idiota e di certo non si può dire che Dostoevskij non sapesse scrivere, ma si tratta di un romanzo faticosissimo da leggere. Non per la mole, ma perché è disorganizzato al punto che le vicende tra i vari personaggi non fluiscono con armonia verso la conclusione, ma ci si ammassano senza alcuna grazia.

La cosa mi fa un po’ incazzare perché è evidente che Dostoevskij aveva tutte le capacità per scrivere un romanzo migliore di questo caos narrativo. La mia sensazione è che Dostoevskij avesse così a cuore i temi portanti de L’idiota da finire per sacrificare la storia alla presentazione delle sue idee.

E qui veniamo alla nota più dolente di questo romanzo: le idee del suo autore. Ero pronta a scrivervi di leggere altro di suo perché nessunə si merita di soffrire su un libto non pienamente riuscito e pieno di idee reazionarie, ma non lo farò perché il buon Dostoevskij ha creato – suo malgrado – un romanzo dalla possibile interpretazione femminista molto interessante.

Abbiamo, infatti, una donna con un passato di abusi subiti in giovane età finita in una relazione tossica con due uomini, uno che è affetto dalla sindrome del salvatore e uno che vuole possederla. L’idiota passa ottocento pagine a sviscerare il dramma di questi due uomini e a dare spazio all’opinione di chiunque possa avere un’opinione in merito e muoia dalla voglia di farcela conoscere, eppure per me questo rimarrà il romanzo di Nastas’ja Filippovna, che non può trovare pace con nessuno dei suoi due pretendenti. Non perché l’uno è una persona immorale e l’altro un Cristo senza poteri divini, ma perché l’unica salvezza possibile per lei sarebbe nel raggiungimento di una consapevolezza e in una rete di aiuto femminista che in quel tempo e in quel luogo – e, aggiungerei, in quella penna – non poteva avere.

La tragedia vera di questo romanzo è vedere due uomini farsi le coccole da bravi amiconi dopo essere stati assolutamente incapaci di raggiungere il dolore di Nastas’ja Filippovna: una scena che, con i dovuti accorgimenti, non sfigurerebbe nel più terrificante degli horror.

Quindi sì, Dostoevskij, ho proprio letto il tuo romanzo pensando tutto il tempo alla questione femminile, in barba al tuo palese disprezzo per l’argomento. Rivoltati pure nella tomba: ho portato i pop corn.