Copertina di Poesia e musica della scienza di Tom McLeish: è viola con delle forme che sembrano delle cose verdine che non so identificare e che sembrano viste al microscopio.

Quali capacità sono necessarie per fare scienza e quali per fare arte? Molti indicherebbero certo l’“immaginazione” e la “creatività” nel secondo caso ma difficilmente nel primo. Tom McLeish sfida invece l’assunto che occuparsi di scienza sia in qualche modo meno creativo del dedicarsi all’arte, alla musica, alla scrittura e alla poesia. I racconti di personalità famose in entrambi gli ambiti – da Robert Boyle a Daniel Defoe, da Alexander von Humboldt a Ralph Waldo Emerson, da Claude Monet ad Albert Einstein, da Robert Schumann a Jacques Hadamard – rivelano infatti molti punti in comune: il desiderio di raggiungere un obiettivo, la gestazione del problema, l’intuizione improvvisa, l’esperienza del bello e del sublime, ma anche quella della frustrazione e del fallimento. McLeish seleziona sapientemente temi che intrecciano i due territori: il pensiero visivo e la metafora, la trascendenza della musica e della matematica, l’ascesa contemporanea del romanzo inglese e della scienza sperimentale e il ruolo dell’estetica e del desiderio nel processo creativo.

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Sulla carta Poesia e musica della scienza mi sembrava un libro interessantissimo sulla frattura tra cultura scientifica e umanistica, su come siano più vicine di quanto si è portatə a credere e di come avere delle conoscenze possa essere benefico sia per le scoperte scientifiche che per la creazione intellettuale.

E da una parte, in effetti, è stata una lettura interessante perché McLeish evidentemente disponeva di una vasta cultura, ma dall’altra mi sono ritrovata a contare le pagine che mi mancavano alla fine piena di frustrazione. Il fatto è che leggere dei vari esempi di scoperte scientifiche fatti da McLeish per dimostrare la sua tesi sembra un’azione fine a se stessa perché alla fine non portano da nessuna parte perché la similitudine tra intuizione scientifica e intuizione artistica è data dal fatto che la nostra mente funziona in un certo modo, il che ovviamente si ripercuote in qualunque attività decida di intraprendere un essere umano. McLeish non fa questo passo e si limita a raccontare di casi nei quali le affinità sono evidenti: magari, venendo lui da un contesto nel quale i due ambiti vengono separati molto presto negli studi, sente la frattura più profonda? Sono io che vedo i due ambiti abbastanza interconnessi da non aver bisogno di questo genere di libro? Non lo so.

Non so quindi nemmeno se consigliarlo: probabilmente un libro che parla di come funziona la mente umana riesce a dire molto di più sull’argomento di quanto non sia riuscito a fare McLeish, anche se non trattasse in maniera specifica della contrapposizione tra cultura scientifica e umanistica. Magari è un buon momento per tirare fuori Splendori e miserie del cervello dalla libreria e leggerlo…

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Valutazione del libro: due stelline gialle

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