Buon martedì, prodi seguaci!🧫

Oggi vi scrivo di due libri su due argomenti che non dovrebbero essere oggetto di così tanta incertezza e disinteresse: lo so che ne ho parlato altre volte e praticamente con le stesse parole, ma che ci volete fare, ho le mie fisse.

I medici sanno davvero di cosa stanno parlando quando ci dicono che i vaccini sono sicuri? Dovremmo prendere in parola gli esperti del clima quando ci mettono in guardia sui pericoli del riscaldamento globale? Perché dovremmo credere agli scienziati quando i nostri politici non lo fanno? A partire da queste domande Naomi Oreskes costruisce una solida e avvincente difesa della scienza, mostrando in che modo il carattere sociale della conoscenza scientifica sia la sua forza più grande e la ragione migliore per darle fiducia. Ripercorrendo la storia e la filosofia della scienza degli ultimi due secoli, Oreskes mette in dubbio l’esistenza di un unico, aureo metodo scientifico, ma non rinuncia per questo a difendere la scienza dai suoi detrattori. La superiore affidabilità delle tesi scientifiche deriva, nella sua visione, dal processo sociale che le produce. Questo processo non è perfetto – niente lo è mai quando sono coinvolti gli esseri umani – ma Oreskes ci offre delle lezioni fondamentali proprio a partire dai casi in cui gli scienziati si sono sbagliati. È nel racconto di questi illuminanti «errori» che l’autrice ci accompagna in un viaggio appassionante tra alcune delle tesi più bizzarre e discutibili della storia della scienza: da quella dell’energia limitata, secondo la quale le donne non potevano dedicarsi agli studi e all’istruzione superiore senza indebolire le proprie funzioni riproduttive; a quella dell’eugenetica, i cui programmi statunitensi di inizio Novecento ispirarono la Germania nazista, promuovendo politiche che vennero interpretate come il coerente risvolto sociale della teoria darwiniana dell’evoluzione. Eppure, anche nei momenti di maggior diffusione di queste teorie, esisteva una comunità scientifica che non offriva il proprio consenso, e metteva in evidenza gli aspetti ideologici e gli interessi nascosti che si celavano dietro a quei risultati. Il punto è che la nostra fiducia non deve andare agli scienziati – per quanto saggi o autorevoli possano essere – ma alla scienza in quanto processo sociale, proprio perché garantisce il suo consenso solo dopo avere sottoposto le proprie tesi a uno scrutinio rigoroso e plurale.

Questo, a mio avviso, è l’argomento a favore della diversità nella scienza e, in generale, nella vita intellettuale. Una comunità omogenea farà fatica a rendersi conto di quali, fra le sue convinzioni, sono legittimate dall’evidenza e quali non lo sono. Dopo tutto, così come è difficile accorgersi del proprio accento, lo è anche riconoscere i pregiudizi condivisi. Una comunità con valori diversificati individuerà e contrasterà più facilmente le credenze pregiudiziali incorporate nelle teorie scientifiche o che si fingono tali.

Se conoscete qualcunǝ scetticǝ sui vaccini o la crisi climatica, consigliatelǝ questo libro. Non perché sia il libro definitivo che raccoglie tutte le prove a favore dei vaccini o altri fatti assodati, ma perché affronta la questione della sfiducia nei confronti delle conoscenze scientifiche spiegando il modo in cui queste conoscenze vengono acquisite.

Mi sembra, infatti, che una larga fetta di scetticismo ingiustificato provenga dal semplice fatto di non sapere come funzioni la scienza e di non avere una comunicazione della scienza (perlomeno da parte dei media più diffusi) che si preoccupa di spiegarlo, in modo da contestualizzare correttamente ogni notizia scientifica. Avremmo avuto lo stesso panico da effetti collaterali del vaccino di AstraZeneca con una conoscenza scientifica di base e una comunicazione migliori?

Una giovane operatrice racconta alcune delle mille storie «drammatiche o bellissime, atroci o piene di umanità» nelle quali si è imbattuta in una dimenticata periferia d’Europa
Con una prefazione di Maria Cristina Carratù, giornalista di «la Repubblica»
Dal marzo 2016, con l’accordo fra Unione Europa e Turchia per bloccare il flusso dei migranti, l’isola greca di Lesbo, di fronte alle coste turche, è il grande miraggio di chi cerca comunque di raggiungere il suolo europeo. Da meta turistica, l’isola si è così trasformata in una grande prigione a cielo aperto, un angolo buio d’Europa dove migliaia di richiedenti asilo sono bloccati e tenuti in condizioni disumane. Dalla storia del libraio iracheno Samer, a quella di Iman dall’Iran, passando per quelle di volontari e abitanti del luogo, Cartoline da Lesbo prova a restituire un volto e una storia a uomini e donne inghiottiti dalla cosiddetta «crisi dei migranti», che le politiche europee hanno ridotto soltanto a numeri.

A proposito di conoscenze che dovrebbero ormai essere assodate: la dichiarazione universale dei diritti umani, per esempio. I drammatici fatti della prima metà del Novecento avrebbero dovuto insegnarci definitivamente due o tre cosette, ma pare proprio che da quell’orecchio non ci sentiamo.

Articolo 13

1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.

2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

Dalla Dichiarazioni Universale dei Diritti Umani

Risolvere la crisi migratoria è difficile? Sì. Ma, francamente, nessuna difficoltà mi sembra giustificare il trattamento disumano che stiamo infliggendo a queste persone e qualunque paura di invasione mi sembra nulla in confronto alla paura di perdere quei valori etici che ci definiscono come europeз.

Quindi ecco qua un libriccino che racconta le storie di alcune di quelle persone, raccolte da una ragazza che ha lavorato per cinque mesi per una ONG: per ricordarci che la crisi è ben lungi dall’essere risolta e che un numero spropositato di persone sta soffrendo per le politiche adottate dagli Stati dell’UE.

Trovato niente di vostro gradimento o di già conosciuto? Fatemi sapere nei commenti!

A presto!⚗️