Buon lunedì, prodi seguaci.

Come avrete intuito dal titolo, oggi vi scrivo di argomenti sensibili, inclusi il suicidio e trattamenti disumani: se non ve la sentite di proseguire, ci leggiamo la prossima volta.

Lo scorso lunedì – come ogni lunedì – ho ricevuto la newsletter di Internazionale dedicata alle migrazioni di esseri umani, Frontiere (alla quale, come sempre, vi invito a iscrivervi): come potete immaginare, si tratta di una newsletter che raramente porta nella mia email buone notizie, ma quel lunedì ce n’è stata una che oggi mi spinge a scriverne sul blog.

La notizia riguarda la morte di Ousmane Sylla, un ragazzo di 22 anni originario della Guinea, che si è tolto la vita nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria, alla periferia di Roma. Forse la notizia vi è arrivata in seguito alla rivolta che ha seguito la morte di Sylla, sedata dalle forze dell’ordine, che hanno fatto ricorso anche ai lacrimogeni.

Di Sylla, com’è prevedibile, non sappiamo molto: il Naga di Milano, un’associazione che garantisce assistenza aə cittadinə stranierə, in un comunicato, riferisce che gli ultimi quattro mesi della sua vita li ha passati in due Cpr diversi, nel Cpr di Milo a Trapani e poi in quello di Ponte Galeria, dove era stato trasferito in seguito alla rivolta scoppiata la scorsa settimana nel primo centro. Sappiamo anche che rinchiudere Sylla in un Cpr è stata un’inutile crudeltà perché l’Italia non ha stipulato alcun accordo di rimpatrio con la Guinea, per cui rimpatriarlo non sarebbe stato possibile.

Se è vero che il suicidio è un atto dalle cause complesse e sulle quali non mi permetto di speculare perché sono solo una scema con una connessione a Internet e un blog, è altrettanto vero che un supporto e un trattamento adeguati sono efficaci per prevenire gran parte dei suicidi. La domanda quindi è: Sylla ha avuto questo supporto?

Non è possibile rispondere no oltre ogni ragionevole dubbio perché manca la documentazione specifica di questo singolo caso, ma nel report di Naga relativo alla loro osservazione del Cpr di Milano si delinea un quadro di abusi, violenze e discriminazioni tale da lasciare pochi dubbi. Finire in un Cpr significa finire in un buco dove è difficile guardare, è difficile ottenere dati e documenti ufficiali ed è difficile uscirne bene (e in salute).

Il report è molto lungo (oltre duecento pagine), ma ne è stata fatta una sintesi di sole sei pagine: vi invito a leggere almeno quelle, perché sembrano descrivere certi buchi neri tipici di qualunque dittatura; invece sono in uno Stato che si vanta di essere democratico e di avere la costituzione più bella del mondo.

Per esempio, viene descritta la famosa e sbandierata procedura di rimpatrio:

Il Dossier racconta anche come avviene la deportazione: persone sedate con punture di valium, legate mani e piedi, attirate fuori dai moduli abitativi con pretesti o bugie, illuse fino all’ultimo che il console potrà fermare la deportazione all’ultimo minuto, denudate, di nuovo, in aeroporto, caricate di peso sull’aeromobile, e consegnate, appena sbarcate, alle polizie straniere.


Il Dossier racconta anche storie estreme come quella di una persona deportata verso un paese che non aveva mai visitato prima. Si tratta del sig. Smeraldo (nome di fantasia), che nel mese di dicembre 2022 è stato “rimpatriato” verso la Bosnia, paese in cui lui non era mai stato. Al primo tentativo di rimpatrio aveva avuto una crisi di panico talmente acuta che il pilota si era rifiutato di trasportarlo. Nato e vissuto in Italia, con spiccato accento veneto, e padre di 4 figli cittadini italiani, ma privo di documenti, di fatto apolide, è stato rinchiuso nel CPR di via Corelli a Milano e da lì deportato in Bosnia. E
capita anche, riferiscono le avvocate e gli avvocati, che vi siano persone messe in aereo, dirette al presunto paese d’origine e… respinte alla frontiera, rispedite in Italia in quanto non riconosciute come cittadine di quel Paese.

Davvero vogliamo continuare a raccontarci che questa sia una soluzione? Davvero vogliamo continuare a farci prendere in giro così? Davvero vogliamo la GPA reato universale mentre questa roba paurosamente simile ad altre strutture che abbiamo abolito perché disumanizzanti ci sta bene?

Tutti gli elementi raccolti dimostrano che tutto ciò non è frutto di una malagestione dei Centri, ma di chiare scelte politiche che si traducono in prassi e pratiche amministrative e di gestione illecite e disumane, finanziate dai soldi pubblici. Il tutto è ancora più grave perché le persone che vengono portate in un CPR non hanno commesso reati, ma solo un illecito amministrativo, ovvero essere irregolari sul territorio. Già di per sé quindi la limitazione della libertà
personale è una misura sproporzionata, ma tutto ciò che abbiamo descritto nel Dossier, oltre a tutto il resto che rimane accuratamente nascosto e che osiamo immaginare, rende questa misura intollerabile, inaccettabile e disumana.
Gli elementi raccolti supportano con evidenza la necessità di abolire i CPR e i rimpatri coatti.

4 risposte a “Di sbarre, buchi neri e disumanità”

  1. Un suicidio in detenzione ha sempre strascichi pesanti. Se la detenzione è la punizione per chi ha l’ardire di una speranza ogni commento pare inutile. È cosa che chiunque abbia una visione umana può comprendere ed interpretare. Mi è piaciuto quello che hai scritto.

    Piace a 1 persona

    1. Oggi leggo che è stata aperta un’indagine per istigazione al suicidio. Non mi aspetto stravolgimenti – non c’è abbastanza sensibilità – ma da qualche parte bisogna pur cominciare.

      Piace a 1 persona

  2. La situazione dei CPR è scandalosa. Menomale che stanno uscendo inchieste e saggi… speriamo che servano a qualcosa!

    Piace a 1 persona

    1. Speriamo davvero, questa situazione non verrà risolta mai abbastanza in fretta.

      "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.