Copertina di Noi due siamo uno, Storia di Andrea Soldi morto per un TSO di Matteo Spicuglia: disegnato in stile fumetto, Soldi è seduto su una panchina in una piazza, sullo sfondo della vegetazione e la Mole Antonelliana con alcuni edifici. Sulla destra, la figura di Soldi in trasparenza sullo sfondo.

Noi due siamo uno ha inizio nell’agosto 2015. Torino è caldissima, afosa, qualcuno è già in vacanza, altri cercano l’aria dei giardini di quartiere. Anche Andrea Soldi, 45 anni, è seduto su una panchina, ma quella è la “sua panchina” sempre, in ogni stagione. Lì si rifugia quando i pensieri lo assalgono, lì trova conforto, lì si sente a casa. Andrea soffre da anni di schizofrenia, la sua famiglia gli è vicino, la madre, il padre e la sorella sono il suo mondo e piazza Umbria è il suo posto del cuore. Andrea non è violento, non è mai stato pericoloso, eppure, il 5 agosto di quell’anno morirà a causa di un tso eseguito da alcuni vigili urbani e dal personale medico. Soffocato diranno i referti. Il processo è arrivato ora alla fase d’appello. Ma questa è forse la cosa meno importante della storia. Matteo Spicuglia è un giornalista che ha seguito il caso e che ha voluto andare a fondo, incontrare i parenti di Andrea, raccontare chi era e come ha vissuto. Dopo la sua morte, la famiglia Soldi ha trovato alcune pagine di un diario lucidissimo che danno voce al percorso umano e psicologico di Andrea. A partire da quel diario, Spicuglia allarga lo sguardo dalla panchina di piazza Umbria alla realtà dei tso, dalla vita di Andrea al mondo della malattia psichica, dalla famiglia torinese all’universo di famiglie che si trovano a convivere con pregiudizi e inadeguatezza dei servizi medici e sociali nella gestione di patologie che soffrono ancora lo stigma sociale.

Divisore

Sono molto dispiaciuta per il fatto che questo libro non mi è piaciuto come avrei sperato, per almeno due motivi. Il primo ha a che fare con il modo in cui viene raccontata la storia di Andrea Soldi, morto durante un trattamento sanitario obbligatorio (TSO) a causa della violenza e dell’incuria di chi avrebbe dovuto prendersi cura di lui.

Spicuglia ha quello stile che vuole commuoverti a tutti i costi e tutto il racconto si focalizza su buoni sentimenti, sacrifici e bambinə innocenti. È una scelta stilistica che, soprattutto nella nonfiction, a me dà un fastidio enorme: sono consapevole che né Spicuglia né la famiglia Soldi – che al giornalista ha affidato il compito di ricordare il loro caro con questo libro – avessero cattive intenzioni, ma ci sono dei passaggi in cui Noi due siamo uno è quasi agiografico e sembra suggerire che la morte di Soldi sia stata una tragedia perché lui era tanto una brava persona. Il problema è che la sua morte sarebbe stata inaccettabile anche se lui fosse stato un pezzo di merda, visto che il diritto alla vita prescinde – o dovrebbe prescindere – da ogni caratteristica personale.

Il secondo motivo di perplessità per me è stato il fatto che Spicuglia passa molte pagine a raccontarci della vita quotidiana di Andrea Soldi, ma senza inscriverla nel contesto di discriminazione e mancanza di assistenza che caratterizzava l’Italia di quegli anni e accennando appena a realtà e associazioni che si sono formate per fornire assistenza a malatə e famiglie. Non capisco il senso di raccontare una storia del genere senza renderla un canale di riflessione sullo stato dell’assistenza che viene data alle persone con malattie mentali, a che punto siamo dopo l’abolizione dei manicomi e quale formazione viene data a chiunque debba entrare in contatto con queste persone. Una volta terminato il libro, si rimane con la storia di Andrea Soldi, non con le informazioni necessarie per un cambiamento di paradigma.

Evidentemente mi aspettavo qualcosa di molto diverso da questa lettura: ve la consiglio se volete approfondire la storia di Andrea Soldi, ma non tanto se il vostro scopo è capire come viene trattata la malattia mentale nel nostro Paese.

Divisore
Valutazione del libro: tre stelline gialle

4 risposte a “Noi due siamo uno di Andrea Spicuglia”

  1. Capisco l’empatia nella scrittura, necessaria quando si vuole raccontare queste storie, ma scadere nel buonismo è controproducente. In questo modo si potrebbe indurre a pensare a Soldi come a un caso isolato, cosa che purtroppo non è.

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    1. Sì, sembra proprio che l’unica preoccupazione del libro sia di dipingere Soldi come una brava persona. Il che va bene, ma non mi sembra il punto di questa storia.

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  2. Il passaggio chiave, secondo me, è che si tratti di un libro commissionato dalla famiglia; a processo ancora in corso mi sembra una mossa abbastanza disonesta, fatta come per smuovere l’opinione pubblica in una certa direzione. Che poi Andrea sia stato vittima di una violenza letale è fuori di dubbio.
    Peccato perché avrebbe potuto essere una lettura interessante su un tema spesso controverso anche tra gli addetti ai lavori, se fosse stato scritto in modo più obiettivo e completo.

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    1. Ma sai, se fosse stato scritto per muovere l’opinione pubblica per sottolineare un problema sistemico nella cura delle persone con malattie mentali, nello specifico con schizofrenia, non ci avrei trovato niente di male. Anzi, lunga vita ai lavori giornalistici che cercano di porre l’attenzione su cosa non va nel Paese. Ma un libro così, che si soffema unicamente sul caso specifico, senza analizzare tutto quello che non ha funzionato e che va cambiato, mi sembra quasi controproducente.

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