
La vera storia di Iqbal Masih, il ragazzo pakistano di 12 anni divenuto in tutto il mondo il simbolo della lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Ceduto dalla sua famiglia di contadini ridotta in miseria in cambio di un prestito di 16 dollari, costretto a lavorare in una tessitura di tappeti dall’alba al tramonto, incatenato al telaio come milioni di altri bambini nei paesi più poveri del mondo, Iqbal troverà la forza di ribellarsi, di far arrestare il suo padrone, di denunciare la “mafia dei tappeti”, contribuendo alla liberazione di centinaia di altri piccoli schiavi. Un romanzo di denuncia, commosso e appassionato, sul valore della libertà e della memoria che, a tutti i costi, va salvata, perché senza memoria non c’è speranza per il futuro.

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La prima volta che sono entrata in contatto con la storia di Iqbal Masih ero una bambina che partecipava a non so più quale progetto scolastico sullo sfruttamento del lavoro minorile. Masih, infatti, era un giovanissimo attivista pakistano che aveva provato sulla sua pelle lo sfruttamento al telaio per tessere tappeti pregiati.
Parliamo della seconda metà degli anni Novanta e Masih era già morto, ucciso in circostanze mai del tutto chiarite a colpi di arma da fuoco. Era il 16 aprile 1995 e Masih aveva appena dodici anni, eppure aveva già contribuito alla liberazione di oltre tremila bambinu dallo sfruttamento.
Storia di Iqbal rende omaggio alla sua figura, al suo coraggio e alla sua determinazione nel voler porre fine a una pratica così disumana. È una di quelle storie che hanno dell’incredibile, perché grazie alla risonanza che l’attivismo di Masih ha avuto nel mondo le cose hanno iniziato a cambiare davvero.
D’Adamo ha fatto un ottimo lavoro, romanzando la storia di Masih e facendola raccontare a una bambina sua compagna di sfruttamento, inventata di sana pianta, ma che, come dice l’autore stesso, probabilmente assomiglia a una bambina che lavorava con lui. In effetti, l’unica nota stonata di Storia di Iqbal è stata la sua carenza nell’ambientazione: potrebbe essere il Pakistan come un qualunque altro Paese dove viene sfruttato il lavoro minorile. Apprezzo la volontà dell’autore di raccontare questa storia, ma mi sarebbe piaciuto vederla contestualizzata meglio.


Credo meriti una lettura. Anche perché non c’è molto sul tema; e sarebbe importante farlo conoscere, con la storia di questo ragazzo, ai nostri ragazzi.
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Tutto sommato sì: è una storia da far conoscere.
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