L’arte della gioia è un libro postumo: giaceva da vent’anni abbandonato in una cassapanca e, dopo essere stato rifiutato dai principali editori italiani, venne stampato in pochi esemplari da Stampa Alternativa nel 1998.
Ma soltanto quando uscì all’estero – in Francia, Germania e Spagna – ricevette il giusto riconoscimento.
Nel romanzo, tutto ruota intorno alla figura di Modesta: una donna vitale e scomoda, potentemente immorale secondo la morale comune. Una donna siciliana, una «carusa tosta» in cui si fondono carnalità e intelletto, che attraversa bufere storiche e tempeste sentimentali protetta da un infallibile talismano interiore: «l’arte della gioia». Modesta nasce il primo gennaio del 1900 in una casa povera, in una terra ancora più povera. Ma fin dall’inizio è consapevole, con il corpo e con la mente, di essere destinata a una vita che va ben oltre i confini del suo villaggio e della sua condizione. Ancora ragazzina è mandata in un convento e da lì, alla morte della madre superiora che la proteggeva, in un palazzo di nobili. Qui il suo enorme talento e la sua intelligenza machiavellica, le permettono di controllare i cordoni della borsa di casa, e di convertirsi in aristocratica attraverso un matrimonio di convenienza. Tutto ciò senza mai smettere di sedurre uomini e donne di ogni tipo. Amica generosa, madre affettuosa, amante sensuale, Modesta attraversa la storia del Novecento con quella forza che distingue ogni grande personaggio della letteratura universale.
L’arte della gioia è un romanzo sul quale è difficile scrivere una recensione perché il suo più grande pregio è, a parer mio, anche il suo peggior difetto (anche se, devo ammettere, ce ne fossero di difetti così!).
Goliarda Sapienza, infatti, ha scritto un romanzo popolare incentrato su tematiche femministe che, perlomeno in Italia e per quel che ho potuto constatare negli ultimi anni, di popolare non hanno niente, visto che sembrano sorprendentemente lontane dalla cultura di massa (penso a fiction italiane, programmi televisivi, letteratura d’evasione, e via dicendo).
Sono rimasta molto colpita da questo aspetto: pensavo che avrei letto un romanzo mainstream e invece mi sono ritrovata tra le mani un libro che grondava melodramma e ha messo a dura prova la mia sospensione dell’incredulità in più punti. Tuttavia, per quanto questo possa essere stato fastidioso, non ho potuto fare a meno di apprezzare il lavoro di Sapienza, il suo essere riuscita a portare il femminismo in una storia popolare, accessibile e godibile per chiunque.
È assai probabile che, se “trafficate” abitualmente con il femminismo, L’arte della gioia non vi riservi rivelazioni o vi scateni chissà quale riflessioni inedita: anzi, la filosofia della differenza che vi aleggia oggi ci sembra superata. Però non si può fare a meno di tifare per Modesta, anticonvenzionale fin dal nome con un deciso adieu al nomen omen.
Sarebbe bello, per la popolarità e la diffusione che hanno ultimamente, se qualcuno facesse de L’arte della gioia una serie televisiva: è un testo che si presterebbe molto bene a questo tipo di trasposizione e così si riuscirebbe a farlo uscire dalla cerchia molto intellettuale alla quale mi sembra sia stato “condannato”. Spero solo che un’eventuale trasposizione non venga affidata a emittenti dagli eccessi di pudore facili (*cough* Rai *cough*): Modesta oggi sarebbe più scandalosa che mai e di certo non se ne starebbe tremebonda ad aspettare il discorso redentore di Don Matteo…