Buon venerdì, prodi seguaci.
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne diamo un’occhiata ai dati: se non ti va di leggerli, ti auguro un buon fine settimana e ci leggiamo la prossima volta!

Secondo il report di D.i.Re, il gruppo di 82 organizzazioni sul territorio italiano, che gestiscono oltre 100 Centri antiviolenza e più di 50 Case rifugio, nel 2021 sono state accolte complessivamente 20.711 donne di cui 14.565 sono donne “nuove”. Rispetto al 2020, si registra un incremento di 696 contatti totali, pari al 3,5%, e un incremento di 1.175 contatti nuovi, pari all’8,8%.
Le caratteristiche della donna che si rivolge a un centro antiviolenza D.i.Re sono consolidate negli anni: quasi la metà (46%) delle donne accolte ha un’età compresa tra i 30 e i 49 anni. Nella stragrande maggioranza dei casi i centri accolgono prevalentemente donne italiane (solo il 26% hanno una diversa provenienza) e una donna su tre (31,9% tra disoccupate, casalinghe e studentesse) è a reddito zero, in linea con il 2020 (32,9%) e il 2019 (33,8%). Il 37% (tra occupate e pensionate) può contare su un reddito sicuro.
Le forme di violenza esercitata sulle donne sono multiple e di varia natura e sono consolidate nel tempo, a conferma della struttura della violenza maschile sulle donne. La più frequente è quella psicologica, violenza subita dalla grande maggioranza delle donne (77,9%), seguita da quella fisica (57,6%). Almeno 1 donna su 3 subisce violenza economica, mentre la violenza sessuale e lo stalking sono agite in un numero di casi più basso.

Soltanto il 28% delle donne accolte decide di avviare un percorso giudiziario e tale percentuale rimane sostanzialmente costante negli anni.
Questo dato non stupisce: la vittimizzazione secondaria da parte delle Istituzioni che entrano in contatto con le donne (servizi sociali, forze dell’ordine, tribunali ecc.) continua a frenare l’avvio di un percorso di fiducia che possa rassicurare le donne che intendono rivolgersi alla giustizia.
Per questo motivo D.i.Re ha istituito l’Osservatorio nazionale sulla vittimizzazione secondaria e, nel suo primo lavoro, mira a ricostruire il fenomeno attraverso lo sguardo e a partire dalle esperienze delle operatrici dei Centri antiviolenza. È stata quindi condotta un’indagine qualitativa esplorativa che ha coinvolto 37 Centri antiviolenza distribuiti in 13 regioni: nell’attività futura dell’Osservatorio è prevista un’indagine quantitativa che coinvolgerà tutti i Centri di D.i.Re.
Dall’indagine, è emerso che in ogni fase del percorso di uscita dalla violenza è presente la vittimizzazione secondaria: nel 77,8% dei casi nel momento iniziale, nel 91,7 dei casi ad azione giudiziale avviata e nel 86,1% dei casi al termine dell’azione giudiziaria.

Sono delle cifre indegne di un qualunque Paese voglia definirsi civile e vi invito a leggere per intero l’indagine (sono meno di 40 pagine) perché la profondità e la pervasività della violenza istituzionale contro le donne (e purtroppo per estensione anche contro lз loro figliз) è tale che tutte le dichiarazioni odierne di solidarietà da parte delle figure istituzionali si trasformeranno in flatulenze maleodoranti. Niente di quello che questa gente ha da dire in merito mi interessa finché tra le loro priorità non ci sia l’eliminazione della possibilità che una donna possa dire: “Se avessi saputo cosa mi aspettava, non avrei mai denunciato”.
È un fenomeno di massa che la massa si rifiuta di guardare.
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E nessuna istituzione si preoccupa troppo di farla guardare.
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Ivana ha ragione: in casi come questi il tasto “mi piace” è problematico. Consideralo come un sono d’accordo con le tue considerazioni.
Purtroppo servirebbe la capacità di rimettere in discussione la nostra società, di interrogarci sulle radici del sessismo e della misoginia. Persino la comunicazione che si fa in giornate come questa non è sempre corretta: sono rimasta perplessa da uno spot in cui si chiedeva agli uomini di intervenire per aiutare le donne che non ne hanno la forza. Come dire, mi sembra che rinforzi lo stereotipo donna=debole/damigella in distress uomo=forte/salvatore. Forse dovremmo iniziare a liberarci dall’idea di essere forti e accettare le nostre debolezze e, soprattutto, dovremmo svincolare le donne dai ruoli di moglie/madre/care-giver.
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Be’, non mi sognerei mai di pensare che qualcunə mette mi piace a un post del genere perché apprezza la situazione attuale.
Gli spot sono un mondo a sé: anche lì da anni si denuncia che non è il caso di rappresentare una donna vittima come un povero angelo maltrattato, ma siamo ancora lì. Anche sull’idea che un uomo debba farsi avanti per salvare la donna vittima sono stati spesi fiumi di inchiostro: in primis perché come dici tu ribadisce la subalternità della donna, poi perché non è che puoi entrare a gamba tesa in una situazione di violenza , fare l’eroe e prenderti gli applausi. Sono situazioni delicate ed estremamente pericolose: l’unica che può sapere ‘come’ e ‘quando’ è la donna in questione; quello che possiamo fare noi come collettività è farci trovare a braccia aperte, con percorsi che garantiscano la sua sicurezza e una vita serena per lei ed eventualз figliз.
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