
Nello splendore della villa di famiglia di Morton Hall, Sir Philip e Lady Gordon aspettano la nascita dell’erede. Quando anziché il maschio desiderato nasce una femmina, decidono comunque di chiamarla Stephen. La bambina crescendo rivela ben presto abitudini e atteggiamenti diversi dalle sue coetanee e la isolano da chi la circonda, costringendola a un’infanzia difficile e a una tormentata adolescenza. Raggiunta la maturità Stephen Gordon si innamorerà perdutamente di un’altra donna.
Il pozzo della solitudine è quel romanzo che prima o poi si incrocia se si vuole leggere i grandi classici della letteratura LGBTQIA+, in particolare della letteratura lesbica: parliamo, infatti, del primo romanzo che parla apertamente di donne lesbiche e delle loro relazioni. Il che – ve lo scrivo senza tanti giri di parole – è praticamente l’unico motivo per il quale valga la pena di leggere questo libro.
Ho fatto molta fatica, infatti, a entrare in sintonia con questa storia: un po’ perché Hall tende a essere molto prolissa e davvero troppo sentimentale per i miei gusti (è questo è anche colpa del fatto che è un romanzo pubblicato nel 1928 e l’Ottocento romantico era ancora in vista); un po’ perché la teoria dell’autrice sull’omosessualità oggi viene sostenuta solo dallз integralistз.
Secondo Hall, infatti, l’omosessualità sarebbe una condizione patologica innata dalla quale non esiste cura (quindi i termini lesbica o gay non sono mai utilizzati, in favore del bruttissimo invertitз, che a me fa venire in mente un guanto da rovescio e non delle persone). L’unico aspetto che ci dice qualcosa è l’enfasi posta sul fatto che il biasimo della società nei confronti delle persone omosessuali causa enormi sofferenze e disagi materiali, che si sommano a quella che oggi chiameremmo omofobia interiorizzata.
Nonostante comunque oggi la posizione di Hall sia decisamente superata, quando il romanzo uscì scatenò un putiferio e nel Regno Unito (dove probabilmente il ricordo del processo a Oscar Wilde era ancora ben presente) l’autrice dovette subire un processo per oscenità, che si concluse con l’ordine di distruggere tutte le copie pubblicate nel Paese (dove non ricomparve fino al 1959). Ovviamente tutto questo finì per dare molta visibilità a Il pozzo della solitudine, che per anni è stato il testo di riferimento per chissà quante lesbiche.
Quindi se vi va di leggerlo per sapere da dove ha preso avvio la letteratura lesbica per come la intendiamo oggi, armatevi di pazienza e di consapevolezza di non star leggendo un capolavoro, ma un testo che ha più una rilevanza socio-culturale che non letteraria.
Lo avevo in wishlist tempo fa ma, dopo aver letto diverse recensioni, ho capito che non era e che non sarà mai un libro capace di incontrare i miei gusti. Hai fatto bene a parlarne e a metterne in luce gli aspetti più problematici.
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Eh infatti, è un romanzo da leggere se ti interessa la storia della letteratura lesbica oppure se vuoi leggere qualcosa che descriva l’ambiente lesbico di quegli anni; decisamente non una lettura se si è in cerca di un bel romanzo tout court! 😅
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Però il termine gay o lesbica magari sono arrivati dopo, non lo so, comunque io li percepisco come termini molto contemporanei poi magari mi sbaglio. Io trovo la parola “invertito” fortissima perché è scorretta e tratteggia alla perfezione sia l’omofobia anche di chi sta scrivendo, sia come venivano recepiti gli omosessuali all’epoca. La usa anche Scerbanenco nei Ragazzi del Massacro con una certa ironia. È come “negro”, quelle parole politicamente scorrette e offensive che però esprimono tanto, se usate correttamente certo. Io non ho letto il romanzo di Radclyffe Halle quindi non ti so dire.
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In realtà esistevano già entrambi; probabilmente Hall ha usato “invertitз” per dare peso alla sua teoria della condizione patologica innata, dato che era il termine “medico” per definire l’omosessualità proprio come condizione innata a cavallo tra il XIX e il XX secolo.
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Allora mi taccio.
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