
A tredici anni, Caitlin Moran è una ragazzina cicciottella, senza amici, perennemente presa in giro dai maschi. E il giorno del suo compleanno, tra una torta/baguette con il Philadelphia e una “lista delle cose da fare prima dei diciotto anni”, ecco che la assale il dubbio da un milione di sterline: ma come si fa a diventare una donna?
Oltre vent’anni dopo, ripercorrendo le esperienze che l’hanno aiutata a crescere, Caitlin prova a rispondere a quell’interrogativo. Partendo da un dato di fatto: non c’è mai stato un momento migliore nella storia per essere una donna. C’è il diritto di voto, la pillola anticoncezionale, e bruciare le streghe sul rogo è ormai decisamente poco glamour.
Ma allora: abbiamo ancora bisogno del femminismo, oggi? Sì, se il femminismo non è quello delle accademie e dei talk-show in seconda serata. Sì, se il femminismo non si occupa solo di cose (importanti, per carità) come la disparità di retribuzione, la circoncisione femminile nel Terzo Mondo, la violenza domestica, ma anche di problemi più banali e quotidiani come la masturbazione, la depilazione, le micro-mutandine, l’irresistibile attrazione per il cioccolato, le borsette da mille euro e le tette rifatte. Sì, perché ogni donna non può che essere femminista, e perché il femminismo secondo Caitlin è decisamente divertente.
Come questo libro.
Contro tutte le “Stronzate di Stampo Patriarcale” che ancora resistono, c’è una soluzione: ridere a crepapelle. Perché, come scrive Caitlin Moran, “quando ridiamo siamo bellissime e alla gente piace vederci fare delle grasse risate”.
2021 RHC, Task 13: Leggi un libro la cui copertina non ti piace
Avete presente quando state guardando un anime e a un certo punto viene sessualizzata una bambina, o comunque una ragazzina minorenne? Per quanto tu sappia che quella scena è frutto di un contesto culturale diverso dal tuo (che comunque ha il suo terrificante numero di casi di abuso su minori), il disagio inizia a scorrere prepotente nelle tue vene (per poi esplodere quando leggi i commenti di uomini che plaudono al coraggio degli studi giapponesi che, in barba al politicamente corretto, continuano a sessualizzare le bambine. Pronto, centododici?).
Ecco, leggere Ci vogliono le palle per essere una donna causa un disagio simile: sai che Moran ha il diritto di vivere la vita come meglio crede, ma la prospettiva femminista che usa per analizzarla in questo libro è stata una costante fonte di disagio. Penso che abbiamo un enorme problema con tutte questo donne che vogliono rendere il femminismo user friendly e cercano di impacchettarlo in una confezione umoristica e piena di bei discorsi sulla realizzazione personale.
Per quanto Moran si impegni, infatti, il suo libro rimane schiacciato sulla sua prospettiva e dà una visione del femminismo molto superficiale, volto più alla realizzazione personale che alla pratica di riconoscere le discriminazioni che colpiscono non solo noi, ma anche le altre persone. Il femminismo, infatti, vuole mettere in luce l’esistenza di uno standard che stabilisce come debba comportarsi ogni genere e che stritola ogni differenza. Il modo in cui si reagisce allo standard varia da femminismo a femminismo e anche da persona a persona: un po’ perché quando le norme vengono meno, si entra nel mondo della libertà della riprogettazione e della ricostruzione e non tuttз hanno le stesse esigenze; un po’ perché ogni persona è diversa e il femminismo celebra quella diversità e la lascia brillare.
Banalizzare questa complessità per scrivere un libro sbarazzino su quali scarpe possedere e sull’importanza di una buona lingerie, pieno di battute crasse e spesso decisamente poco femministe e molto cringe come esce dall’esperienza diretta dell’autrice (il capitolo sul perché non avere figliз, che segue quello sul perché averne, ne è un esempio lampante) mi è sembrato davvero terrificante. Non mi sento di consigliarne la lettura nemmeno come passatempo: passate proprio oltre.
Ho come l’impressione che ci sia una tendenza a rifiutare i temi complessi e a voler per forza rendere il femminismo meno, passami il termine, duro e puro, ma visto che le discriminazioni non sono state ancora superate e che sembra che stiamo facendo più passi indietro che in avanti, non è il caso di buttarla (solo) sul ridere.
Comunque ben vengano i sani sconsigli letterari: bisogna anche sapere cosa non mettere sul comodino.
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Be’ sì, è più facile usare il femminismo come strumento di realizzazione personale che come lente attraverso la quale vedere non solo le discriminazioni che ci colpiscono direttamente, ma anche quelle che riguardano altri gruppi di persone, e agire di conseguenza. Il femminismo è difficile, ma anche sentito come necessario e questo lo porta a essere banalizzato con molta facilità: non è facile trovare delle buone divulgatrici femministe e forse ancora più difficile delle buone comiche femministe.
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Non conoscevo questo libro, ma credo che tu abbia ragione: il femminismo è una cosa seria e non deve essere banalizzato tanto per scrivere un libro divertente!
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Qualche anno fa era piuttosto popolare. Il femminismo può essere un’ottima fonte di satira, ma è davvero uno spreco usarlo per parlare di scarpe e seduzione sul posto di lavoro 😕
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Già intitolare un capitolo “Perché non avere figli” e “Perchè avere figli” come fosse un concetto universale e applicabile a tutt* dice molto di come il libro affronta le tematiche. Un conto è comunicare concetti complessi in una forma tale da renderlo accessibile ad un vasto pubblico, tutt’altra storia è banalizzare.
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Se avesse scritto un capitolo su quanto fosse stata contenta di aver avuto la libertà di scegliere di avere dellз bambinз, sarebbe stato meglio. Perché il capitolo sul non avere figliз è davvero cringissimo, non so come una donna che si definisce femminista abbia potuto scriverlo.
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