Buon mercoledì, prodi seguaci!🍅

Oggi vi scrivo di qualche libro leggero ma con una base sostanziosa se in questo periodo non volete leggervi solo libercoli che maledirete di aver comprato per la loro inconsistenza.

Prontз, partenza, via!

Sayoko e Yōichi hanno avuto un incidente, lei è rimasta gravemente ferita, lui invece non c’è più. La loro era una storia bellissima, in cui la scarsa volontà di impegnarsi era compensata da un amore profondo e libero, e senza di lui Sayoko si sente vuota, o forse, come le dice l’amico okinawano Shingaki, deve solo andarsi a riprendere il suo mabui. È proprio la ricerca del mabui, qualcosa che assomiglia molto all’anima e che Sayoko non sa nemmeno se rivuole per davvero, il tema centrale di un romanzo che, con profondità e delicatezza, racconta il dolore e la rinascita di chi è sopravvissuto alla morte di qualcuno che amava. Ambientato fra i templi e gli onsen di Kyōto, Il dolce domani, scritto all’indomani del terremoto e dello tsunami di Fukushima, è il messaggio di speranza che Banana Yoshimoto ha voluto dedicare alle popolazioni colpite.

Finalmente mi sono decisa a leggere un altro romanzo di Yoshimoto, dopo l’enorme delusione di Moshi moshi: che sfiga, ai tempi, aver sfilato dallo scaffale della biblioteca quello che è uno dei suoi libri peggiori. Magari adesso non aspetterò dieci anni prima di leggere Kitchen.

Il dolce domani non è uno di quei romanzi inequivocabilmente belli, ma è uno di quei libri che mi sento di consigliare perché capace di fare bene all’anima. Avendo come il tema il lutto, potrebbe essere particolarmente indicato per affrontare quel genere di dolore, ma è così delicato e garbato che credo possa essere una lettura lenitiva in senso lato.

Infatti, Yoshimoto dichiara nella postfazione al romanzo di averlo scritto in seguito al terremoto del Tōhoku dell’11 marzo 2011, che, tra morti accertate e persone disperse, ha fatto più di 20.000 vittime. Il dolce domani non parla di quella catastrofe, ma vuole comunque essere un abbraccio affettuoso a chiunque sia rimastǝ dopo un evento luttuoso. E, secondo me, riesce molto bene a trasmettere quel calore umano.

«Il libro che avete fra le mani è uno dei più divertenti degli ultimi cinquecentomila anni» ha scritto Terry Pratchett. È vero, tanto tempo è passato, da quando vissero Ernest, il narratore di questo libro, con la sua ingegnosa famiglia, dal padre Edward, che fu senza dubbio «il più grande uomo scimmia del Pleistocene», a quell’amabile reazionario di zio Vania, che tornava sempre a vivere sugli alberi, a quel viaggiatore incallito dello zio Ian, per non parlare delle ragazze. Un curioso gruppetto, che si trovò, sotto la guida del grande Edward, nella delicata situazione di chi dà all’evoluzione una spinta che non si riequilibrerà mai: la spinta da cui siamo nati tutti noi. Ragionando con impeccabile acume scientifico, nonché un delizioso humour freddo, Edward e i suoi scoprirono «alcune delle cose più potenti e spaventose su cui la razza umana abbia mai messo le mani: il fuoco, la lancia, il matrimonio e così via», sempre sulla base di una elementare esigenza: quella di «cucinare senza essere cucinati e mangiare senza essere mangiati». E naturalmente non mancarono le dispute e i crucci, perché ogni volta si poteva discutere se quelle nuove invenzioni erano davvero buone o cattive, se non rischiavano di sfuggire al controllo e soprattutto se non andavano un po’ troppo contro la natura. Mah…
Pubblicato per la prima volta nel 1960, e poi ripreso più volte sotto vari titoli, questo libro si è fatto strada silenziosamente fra i classici della fantascienza a ritroso. Ma in realtà è un libro inclassificabile: una riflessione romanzesca, acutissima e leggera, su tutta la storia dell’umanità, contrassegnata in ogni dettaglio da quella limpidezza e da quell’ironia che appartengono alla migliore tradizione letteraria e scientifica inglese. Quando Théodore Monod lesse questo libro, segnalò all’autore uno o due errori tecnici, subito aggiungendo «che non importavano un accidente, perché la lettura del libro l’aveva fatto ridere tanto che era caduto da un cammello nel bel mezzo del Sahara».

Non sono caduta dal cammello come Théodore Monod (e non ho neanche acquisito la capacità di resistere al caldo, evidentemente), ma Il più grande uomo scimmia del Pleistocene mi ha comunque divertita una cifra. Capisco il perché dell’entusiasmo di Pratchett.

Il libro racconta in maniera esilarante un momento dell’evoluzione umana, quello della domesticazione del fuoco e di come questa sia stata in grado di cambiare le vite dellз nostrз antenatз. Per quanto Lewis voglia far ridere, la sua ricostruzione non è poi così campata per aria (Monod stesso lo riconobbe) e viene proprio da dire che da che mondo è mondo alcuni esseri umani ricercano attivamente un modo per migliorare le proprie vite; altri fanno per caso scoperte che possono portare dei vantaggi; altri ancora si opporranno, più o meno ipocritamente, a qualunque cambiamento; infine, altri ancora saranno disposti a fare qualsiasi cosa pur di avere un vantaggio sullз altrз.

Con Il piatto piange fa la sua comparsa nella letteratura italiana un paese di frontiera, Luino, con il suo profumo di lago e di boschi, con la sua umanità variopinta, fatta di negozianti, giocatori, beghine, ladruncoli, prostitute, travet, camicie nere. Ambientato negli anni Trenta del Novecento, dunque in epoca fascista, il romanzo offre un esemplare spaccato della provincia italiana: rispettabile in apparenza, ma percorsa sottopelle da inquietudini e tentazioni. Chiara condisce i ricordi con le spezie dell’umorismo e il sale di un affetto dispettoso. I suoi eroi – approdati dopo mirabolanti peregrinazioni sul Verbano, o desiderosi di partirne – dissipano volentieri l’esistenza fra le carte, il biliardo e i divani delle case d’appuntamento. Scettici dinanzi ai proclami altisonanti della dittatura, saranno poi costretti dallo scoppio della Seconda guerra mondiale ad affrontare tragedie piccole e grandi.
La presente edizione è a cura di Mauro Novelli.

Dato il successo di Andrea Vitali e del plauso per le sue capacità di raccontare la provincia italiana, sono un po’ stranita dal fatto che uno dei suoi maestri, Piero Chiara, non abbia un gran successo – almeno tra lз lettorз che lasciano traccia della loro attività di lettura, non ho ovviamente idea di quante copie venda la Mondadori dei suoi romanzi. Abbastanza da tenerlo in catalogo, comunque.

Personalmente, ritengo Chiara una spanna sopra Vitali, per la sua capacità di rendere tridimensionali i suoi personaggi con pochissime pennellate ben assestate e di andare oltre il ritratto macchiettistico della provincia. Ci troverete le radici di diversi vizi italici nei romanzi di Chiara e in più di un momento vi troverete a sorridere con amarezza.

Il piatto piange soffre del fatto di non essere stato pensato come un romanzo unitario: ogni avventura dei personaggi è slegata da quelle degli altri e il gioco d’azzardo mi è sembrato un collante un po’ debole. Sembra più di leggere una serie di racconti sullз abitanti di Luino piuttosto che un romanzo: alla fin fine non è un gran difetto, ma a volte è un po’ strano finire un capitolo e passare a un’altra storia.

Che ve ne pare? Avete avuto qualche delusione da libri leggeri? Io sì, una davvero cocente, ve ne scriverò domani. Forse. I programmi su questo blog lasciano il tempo che trovano.

A presto!🐈