Buon lunedì, prodi seguaci!🐒
Questo fine settimana ho finito di leggere L’aspra stagione di Tommaso De Lorenzis e Mauro Favale, un libro che non avevo mai sentito nominare, che ho incrociato per caso e che ho deciso di leggere così, per il guizzo di un momento. Un’ottima decisione. Ve ne lascio un assaggio.
Non la consegnano tutta [l’eroina], però. Ne tengono un po’ per loro. un po’ di quella buona. «Ma non era questione di sballo, – spiega Ramini, – o meglio: non era semplicemente una questione di sballo. Eravamo in tanti a pensare di riuscire a gestire culturalmente il fenomeno».
E infatti in tanti ne restano travolti.
‘Dove siete?
Quando eravamo mille diecimila centomila…
Non è possibile che fuori non c’è più nessuno.
Non è possibile che non sento più niente che non sento più una voce un rumore un respiro non è possibile che fuori c’è solo un immenso cimitero dove siete mi sentite non sento non vi sento non sento più niente’
Perché?
Perché qualcosa s’è rotto.
Perché ci siamo guastati. Perché ci siamo bruciati.
Perché siamo friabili.
Perché le alternative si scartano. Perché il mazzo sta per finire.
Perché Moro non scrive più.
Perché l’amore ha deragliato.
Perché le piazze sono vuote. Perché le piazze sono mute.
Perché le cose non vanno. Perché le cose vanno come vanno.
Perché vuoi ancora provare piacere. Perché non vuoi più provare dolore.
Perché vuoi ancora vedere i colori.
E perché la roba è buona.
Carlo ha già provato l’eroina. L’ha tirata, qualche volta. «Il tirello del sabato sera»: pratico, rapido, sicuro. Così almeno si pensa. Meno «invasivo» del buco. Forse, anche meno pericoloso. E poi Carlo lo sa bene come ti riducono le «spade». Come uno ‘junkie’, uno dei tanti protagonisti dei suoi articoli. Non vuole diventare così.
Per questo, quando nel corso del 1979 inzia a usare regolarmente eroina, a iniettarsela in vena, ad andare a comprarla a Campo de’ Fiori, o in piazza Strozzi, quartiere Prati, non smette mai di lavorare. Continua a fare il cronista.
Francesca Comencini: «Per lui non era un gioco, più o meno pericoloso, come capitava a tanti in quel periodo. Lui si faceva perché non sapeva più dove stare, come porsi nei confronti delle cose che raccontava, di quello di cui si occupava. Riuscì in questo modo così disperato a rendere l’eroina – in assoluto una droga afasica, il luogo dell’assenza di linguaggio – oggetto vivo di racconto giornalistico».

Un cronista di ieri che non poté vedere l’oggi, ma ne sentí il fetore in avvicinamento. Ossimoro vivente e ambulante, smarrito e attentissimo, inflessibile e piegato nel morale, Carlo Rivolta raccontò lo sbandamento dei tardi anni ’70, il grande e cupo impazzimento prima della risacca, tra sequestro Moro, inchiesta «7 Aprile» e storie di crimine organizzato.
Nei suoi articoli, voci gridano prima di cadere nel silenzio, pallottole spaccano cuori, l’eroina invade le strade ed entra persino in fabbrica, tempio violato dell’integerrima classe operaia.
Trent’anni piú tardi, De Lorenzis e Favale, segugi a caccia di un segugio, fiutano l’usta in giro per Roma, intervistano, incollano ritagli e scrivono una storia centrifuga, frullata in un rotor da luna park, dove nessuna complessità è sacrificata alla reticenza, nessun dolore viene taciuto.
Un libro scritto col coraggio della verità.