
L’anarchico è il romanzo di culto di Soth Polin, uno dei pochissimi scrittori cambogiani sopravvissuti al periodo dei Khmer rossi. Intrecciando in modo spregiudicato cultura occidentale e orientale – Nietzsche, Freud e buddismo –, autobiografia e finzione, Soth Polin esplora la storia recente della Cambogia, la follia del potere, l’influenza manipolatrice dei media e soprattutto le pulsioni più violente che muovono gli individui e le masse.
L’anarchico si articola in due parti composte a distanza di dodici anni, intervallo di tempo in cui si consuma l’“incubo di fuoco e sangue” della Kampuchea Democratica. La prima racconta la giornata di un intellettuale cambogiano sradicato dalla sua cultura che in un crescendo di sesso e nichilismo culmina in tragedia. La seconda è l’allucinato monologo/confessione che il tassista Virak – un ex giornalista cambogiano rifugiatosi a Parigi dopo aver compiuto una vendetta politica che ha accelerato la rovina del suo paese – rivolge alla passeggera morta nell’incidente stradale da lui provocato.
Un romanzo crudo, corrosivo e provocatorio che ci precipita nel “grande tumulto della Storia, laddove le passioni umane sono esacerbate, incandescenti”.
2021 RHC, Task 3: Leggi un romanzo non-europeo in traduzione
L’anarchico, come recita la sinossi della casa editrice, è un libro formato da due parti distinte e il mio problema è che non sono riuscita a prendere sul serio nessuna delle due, nonostante entrambe le storie siano intrecciate con la storia della Cambogia.
Avevo letto delle recensioni nelle quali mi si avvertiva del contenuto misogino di questo libro, ma non mi avevano preparato a leggere un testo così edgy, come si direbbe oggi. L’anarchico pare scritto da un quindicenne che le spara grosse perché vuole sconvolgerti a tutti i costi, ma finisce solo per essere cringe. L’unico risultato ottenuto da Polin, per quanto mi riguarda, è stato farmi venire voglia di leggere la storia dal punto di vista delle donne incontrate da A-Chhem e Virak, donne che spesso e volentieri sono le uniche a dire qualcosa di sensato.
Non sono neanche riuscita ad apprezzare la disperazione dei due protagonisti, sradicati dal loro ambiente e dalla loro casa in maniera diversa, ma entrambi più che pronti a scaricare il loro disagio sulle donne (quando Virak ci ha finalmente rivelato il motivo della sua misoginia, si aspettava davvero la nostra solidarietà di lettorз?).
Sono stanca di leggere giustificazioni alla violenza contro le donne (e in questo romanzo ce n’è veramente, ma veramente tanta). Non c’è umiliazione, nichilismo o genocidio che tenga. Basta.