
Invecchiare è disdicevole, morire inaccettabile. La morte è diventata un pensiero da respingere, la medicina ha il dovere di annientarla. Come un nemico, quello più tremendo. Il senso di sconfitta verso la fine diventa allora insopportabile. Il libro di Marina Sozzi aiuta a toglierci questo peso, a rendere più leggera la vita, ripensando e accettando la morte come un evento naturale, che ci appartiene. Abbiamo diritto a morire bene e come vogliamo, ad alleviare il dolore fisico nostro e degli altri, contrastando la paura del distacco, accettando di essere fragili senza soffrirne. Anzi, con la consapevolezza che la ricetta principale della felicità risiede proprio nell’accettazione della fine, che rende unico ogni singolo attimo.
Come l’anno scorso, anche questo ottobre ho dedicato una parte del tempo a leggere libri sulla morte da un punto di vista laico: infatti, se la riflessione e i riti religiosi cristiano-cattolici hanno regnato a lungo incontrastati nel nostro Paese, oggi il panorama è molto più variegato e l’esigenza di pensare alla morte in maniera areligiosa, sia da un punto di vista rituale, sia da un punto di vista filosofico, non è più così peregrina.
Marina Sozzi è una filosofa e una tanatologa, cioè una persona che studia la morte da un punto di vista antropologico, filosofico e psicologico, e in questo libro enumera e disquisisce tutte le questioni che oggi riguardano il nostro rapporto con la nostra e l’altrui fine, sia come singoli individui, sia come società. La sua esperienza mi sembra evidente dal mondo pacato, percepibile anche attraverso la sua scrittura, con la quale affronta ogni argomento e da come spiega con grande semplicità questioni che di semplice non hanno proprio nulla.
Il grande pregio di questo libro, infatti, è il suo restituire complessità a temi che la politica ha trasformato in slogan (come l’eutanasia o la necessità di predisporre spazi dove le persone non di fede cristiano-cattolica possano dire addio allз loro carз secondo i loro riti e le loro sensibilità) o che la nostra cultura tende a rimuovere (come il fatto che non invecchiamo tuttз bene e non perché non ci siamo impegnatз abbastanza).
Ho apprezzato anche il fatto che Sozzi mi abbia dato uno sguardo più moderno su libri che ho già letto (uno su tutti, Storia della morte in Occidente di Philippe Ariès, che avevo letto l’anno scorso) e che mi abbia fatto conoscere un sacco di altri titoli per approfondire l’argomento.
Un tema molto impegnativo, spesso un tabù; credo che quello di Sozzi sia l’approccio giusto: guardare alla morte come fenomeno della vita, e quindi come tale, da trattare mantenendo in equilibrio i diversi punti di vista.
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Sì, un equilibrio difficile, ma necessario, vista la fragilità nella quale ci troviamo in quel momento, sia come morenti sia come persone che stanno perdendo/hanno perso unə carə.
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La morte è senz’altro un’argomento in grado di far vacillare anche gli spiriti atei più tenaci, credo che ci sia anche la difficoltà oggettiva ad immaginare la (non esistente) sensazione di non esserci più. Anche io all’inizio non sapevo bene come rapportarmi, quando poi ho studiato il ciclo del carbonio mi sono sentito “rassicurato”. Non lo so, pensare che dalla decomposizione delle mie molecole possano nascere materiali diversi mi ha reso il pensiero più accettabile anche dal punto di vista emotivo. Forse perché dà un po’ un senso di continuità.
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Il senso di continuità è una cosa importante: è rassicurante sapere che il mondo (e per il momento anche l’umanità) andrà comunque avanti.
Sono ben lungi dal pensare all’argomento con saggezza e serenità, quindi spero ancora di avere del tempo davanti a me!
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