2013, Ilam, Kurdistan iraniano. Dopo le intimidazioni e l’arresto di alcuni colleghi giornalisti, Behrouz Boochani raggiunge clandestinamente l’Indonesia. Sopravvissuto a un naufragio nel tentativo di arrivare in Australia, si ritrova esiliato in un’isola nel mezzo dell’oceano, nel centro di detenzione per immigrati irregolari di Manus Island in Papua Nuova Guinea. Qui Boochani inizia un’intensa campagna di denuncia della politica anti-migratoria australiana e delle umiliazioni cui vengono sottoposti i rifugiati: articoli, documentari e questo libro, digitato in persiano su un cellulare e mandato, di messaggio in messaggio, a Omid Tofighian che lo ha tradotto in inglese. “Nessun amico se non le montagne” racconta i terrificanti viaggi per mare, e la vita quotidiana nel carcere di Manus, nella sua banalità degradante e disumanizzante – la fame, il sole impietoso, le zanzare torturatrici, i bagni che non funzionano, le code per mangiare, per il telefono e per farsi curare. «Aspettare», scrive Boochani, «è uno strumento di tortura usato nelle segrete del tempo.» In uno stile che intreccia prosa e poesia, commento politico e mito, Boochani mette in scena un’umanità tragica e grottesca, ma anche generosa e resistente. Nel suo palcoscenico si muovono Nostra Signora Golshifteh, Il Primo Ministro, Il Gigante Gentile, La Mucca, il Ragazzo dagli Occhi azzurri, Il Pinguino, Il Profeta, Il Papà Del Bambino Di Pochi Mesi, Maysam la Puttana, Il Ragazzo Rohingya… Sullo sfondo, sempre presente, una natura magnifica e terribile, compagna e incubo dei prigionieri senza speranza sull’isola di Manus, in attesa che le loro vite riprendano.

2020 RHC, Task 19: Leggi un libro scritto da o su unə rifugiatə

Ho sempre creduto nelle parole e nella letteratura. Sono convinto che la letteratura abbia il potenziale per provocare cambiamenti e per sfidare le strutture del potere.

La letteratura ha il potere di darci la libertà. Sì, è così.

Sono chiuso in prigione da anni, ma la mia mente non ha smesso di produrre parole che mi hanno portato oltre i confini, oltreoceano, in luoghi sconosciuti. Le parole sono più potenti delle sbarre del luogo in cui mi trovo, di questa prigione.

Non è un semplice slogan. Non sono un idealista, non sto esprimendo il punto di vista di un sognatore. Queste sono le parole di una persona che è tenuta prigioniera in questa isola da quasi sei anni e che è testimone di una tragedia straordinaria che si sta verificando ora. Queste parole mi consentono di essere lì con voi, questa notte.

Dal Discorso di Behrouz Boochani pronunciato all’assegnazione del Victorian Prize 2019

Nessun amico se non le montagne non è stato affatto la lettura che mi aspettavo: pensavo che avrei letto il resoconto delle terribili esperienze di Boochani durante la fuga dall’Iran e poi nei campi di prigionia australiani, invece mi sono ritrovata a leggere una sorprendente analisi del perché ancora esistono situazioni e luoghi di disumanità come quelli.

La prosa di Boochani è stata definita surrealismo raccapricciante perché sembra realismo magico, ma la sua interpretazione della realtà (dovuta sia al non rendere riconoscibili le persone prigioniere delle quali parla, sia al costruire la sua riflessione in merito alla Prigione di Manus) unita al suo uso poetico delle parole la rendono un unicum in letteratura. Basterebbe solo questo a rendere questo libro degno di attenzione.

Ma c’è anche la sua analisi della situazione della prigionia e del sistema di accoglienza (sempre che si possa definire accoglienza). Sicuramente le modalità di analisi vi saranno familiari se bazzicate il femminismo intersezionale, visto che Boochani è consapevole di come quel sistema di sfruttamento venga replicato in altri ambiti, che devono essere tutti liberati affinché questi orrori non si ripetano mai più, da nessuna parte.

Siamo quattrocento persone

quattrocento anime perse in uno spazio ristretto

quattrocento prigionieri

che aspettiamo impazienti le notti

in modo da potercene andare

ed entrare nei nostri incubi.