«Tutto ha inizio con due gemelli che una madre disperata è costretta ad affidare alla nonna, lontano da una grande città dove cadono le bombe e manca il cibo. Siamo in un paese dell’Est, ma né l’Ungheria né alcun luogo preciso vengono mai nominati.
Un inizio folgorante che ci immette di colpo nel tempo atroce dell’ultima guerra raccontandolo come una metafora. La nonna è una “vecchia strega” sporca, avara e senza cuore e i due gemelli, indivisibili e intercambiabili quasi avessero un’anima sola, sono due piccoli maghi dalla prodigiosa intelligenza. Intorno a loro ruotano personaggi disegnati con pochi tratti scarni su uno sfondo di fame e di morte. Favola nera dove tutto è reso veloce ed essenziale da una scrittura limpida e asciutta che non lascia spazio alle divagazioni. Un avvenimento tira l’altro come se una mano misteriosa e ricca di sensualità li cavasse fuori dal cilindro di un prestigiatore crudele». Rosetta Loy

Io e Trilogia della città di K. non siamo partiti con il piede giusto: la prima parte, Il grande quaderno, mi ha lasciata piuttosto perplessa, mi sembrava piena di violenza gratuita messa lì per suscitare un orrore fine a se stesso, visto che il romanzo non pareva prendere nessuna direzione precisa.

Poi ho iniziato La prova e mi sono dovuta ricredere. Trilogia della città di K. è improvvisamente diventato più del classico libro sugli effetti devastanti della guerra, dell’odio e dei regimi totalitari. È un libro sull’impatto che esperienze così estreme e disumanizzanti hanno sulla mente umana, portandola a distorcere la realtà, a farla essere meno tremenda di quanto in realtà non sia.

Si tratta di uno dei libri più tristi che abbia letto nella mia vita. La storia di questi due gemelli e della loro famiglia ti mette davanti a tutta la cattiveria degli esseri umani e la verità non è più così importante davanti alle distorsioni della realtà operate dalla mente per cercare di sopravvivere. Infatti, a un certo punto ho smesso di chiedermi cosa fosse successo, ma perché esistesse quella distorsione.

Leggere Trilogia della città di K. è stato come entrare nella mente depressa di una persona sopravvissuta agli orrori della guerra: non ci vengono risparmiate le incongruenze proprio perché queste fanno parte della personalità del narratore. Alla fine ci rimane un enorme senso di spreco: quante vite vengono distrutte da questi eventi traumatici? Si contano sempre le morti in caso di guerre, ma quanto è grande il prezzo che paga chi sopravvive?

8 risposte a “Trilogia della città di K. di Ágota Kristóf”

  1. A me piacque la capacità di rovesciare le carte in tavola in ciascuna delle parti, introducendo una nuova visione degli eventi ogni volta.

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    1. Sì, dà proprio l’idea di essere nella testa di una persona sconvolta da tante esperienza estreme e che cerca di razionalizzare tutto e non ci riesce troppo bene. È davvero una delle storie più tristi che abbia mai letto.

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    1. Spero possa piacere anche a te, allora😊

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  2. Un libro splendido, intenso e straziante.

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  3. Davvero un’opera straordinaria!

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    1. Sì, davvero notevole.

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