Buon lunedì, prodi seguaci!🍇
Questo fine settimana è stato di vendemmia e, sebbene sia ancora piuttosto caldo, gli odori e i sapori dell’autunno stanno arrivando (non vedo l’ora di addentare la schiacciata con l’uva🤤).
Comunque, ho trovato anche il tempo di leggere (giusto per riposare le membra stanche😆) e ho divorato Perché ci odiano di Mona Eltahawy, un libro che mi ero ripromessa di leggere prima che uscisse il suo nuovo lavoro, The Seven Necessary Sins for Women and Girls, questo settembre: sono arrivata un po’ in ritardo (che sorpresa!), ma mi sto godendo molto il profilo Twitter di Eltahawy in questi giorni.
Questo libro è il mio contributo alla cancellazione di quello spazio fra pubblico e privato. Io sono il prodotto della mia cultura e della mia fede. Sono figlia dei tabù e dei silenzi da cui ho faticosamente cercato di liberarmi. Sono la sorella di ogni donna che combatte contro le forze d’oppressione che hanno soffocato la nostra vita sessuale e l’hanno resa un campo minato, e che con determinazione e tenacia sfida le forze d’oppressione che hanno strangolato politicamente le nostre società. Sono la migliore amica della donna che marcia per protestare contro i despoti politici all’esterno e che continua quella protesta contro i despoti personali all’interno.
Sono le donne capaci di unire in una sola battaglia la lotta contro le forze d’oppressione esterne e quella contro le forze d’oppressione interne che libereranno le nostre società. Dobbiamo impegnarci in questa battaglia e al contempo avere il coraggio di eliminare lo spazio di cui parla bell hooks e che separa il pubblico dal privato. Dobbiamo farlo scendendo fisicamente in piazza e ripetendo ad alta voce le parole «Pane, libertà, giustizia sociale, dignità umana!» È questo il grido collettivo di libertà, per strada e in casa.
Le parole sono importanti per combattere il silenzio, l’alienazione, la violenza. Le parole sono bandiere piantate sui pianeti del nostro essere; dicono questo è mio, ho lottato per conquistarlo e, nonostante i vostri tentativi di zittirmi, sono ancora qui. Altrettanto importante, le parole ci aiutano a trovarci, a unirci e a superare l’isolamento che minaccia di vincerci e spezzarci. Le parole dicono: siamo qui.

Quando nel 1982 la famiglia Eltahawy si trasferisce dalla Gran Bretagna in Arabia Saudita, per Mona, quindici anni, è come ritrovarsi all’improvviso in pieno Medioevo. Mai avrebbe immaginato un Paese in cui le donne sono private di molte libertà, escluse dalla scena sociale e costrette a dipendere dagli uomini in tutto e per tutto. Questa traumatica esperienza segna l’inizio della militanza di una giovane donna diventata oggi una nota giornalista e commentatrice di questioni arabe. Attingendo alla propria vicenda e raccogliendo decine di drammatiche storie, Mona Eltahawy racconta la doppia lotta che le donne islamiche devono portare avanti: quella nel contesto pubblico, in prima fila accanto agli uomini contro i regimi d’oppressione, e quella nella sfera privata, dove c’è un intero sistema culturale e familiare da abbattere. Dallo Yemen alla Tunisia fino all’Egitto, Eltahawy denuncia legislazioni, fatti di cronaca e vicende individuali per raccontare, in un libro illuminante e incendiario, il «cocktail velenoso di cultura e religione» che sfocia nell’oppressione e nell’odio verso le donne. Persuasa che nessun Paese arabo troverà mai pace ed equilibrio finché non avrà risolto la questione femminile.