Nata in una famiglia di chiaroveggenti, Blue Sargent, sedici anni, fin da piccola sa che con un bacio ucciderà il suo vero amore. Ora però a quanto pare il momento è prossimo: prova ne è la visione che Blue ha nella notte della vigilia di San Marco, quando gli spiriti dei futuri morti di Henrietta, una cittadina della Virginia, si mostrano alle veggenti Sargent: Blue vede lo spettro di Gansey e apprende che è proprio lui il suo vero amore, e quindi la persona che ucciderà.
Fatalità vuole che Gansey di lì a poco si presenti alla porta delle Sargent per un consulto magico: da anni è sulle tracce di Glendower, mitico re gallese la cui salma è stata trafugata oltreoceano secoli prima e sepolta lungo la linea temporale che attraversa Henrietta.
Blue decide di aiutare Gansey, e si ritrova coinvolta nella ricerca di questa sorta di Graal insieme agli altri Raven Boys, i problematici studenti della scuola che Gansey frequenta. Ma questo è solo l’inizio dell’avventura.


Appena ho iniziato a leggere il primo capitolo di Raven Boys, mi sono detta: eccola, è lei, Maggie Stiefvater in persona, una delle poche autrici di YA dallo stile talmente particolare da non poter essere confusa con nessun’altra collega. Una che è capace di scrivere di ragazzacci senza farmi venire voglia di defenestrare il libro e di genitori senza farmi invocare il Telefono Azzurro ha tutta la mia attenzione.

Oddio, in tutta sincerità tra questi Raven Boys, allievi della Aglionby, la più esclusiva scuola privata di Henrietta, l’unico bad boy è Ronan, che ha il cazzotto facile, la lingua tagliente e l’immancabile tatuaggio, ma riesce a essere un normale ragazzo problematico e non un piccolo femminicida in erba. Stiefvater ci dice che nasconde qualcosa di grosso e che la sua vita è stata stravolta dalla morte del padre, ma si riserva di parlarci di lui in seguito – sì, è un’autrice parca di informazioni, famosa per buttarti in mezzo alle vicende senza troppi preamboli: c’è chi non la sopporta per questo, io l’adoro.

Poi abbiamo Gansey e Adam, l’uno ricchissimo rampollo dalla famiglia modello, l’altro povero in canna e costretto a lavorare per poter frequentare l’Aglionby. Il loro rapporto dà l’opportunità a Stiefvater di esplorare le difficoltà dell’amicizia tra persone che provengono da background economici diversi, di quanto sia difficile per chi è povero accettare la generosità di chi è ricco e di come in questa generosità ci sia uno squilibrio di potere molto difficile anche solo da vedere per chi è benestante.

Infine abbiamo Noah, che viene introdotto quasi per caso, perché è lì e Stiefvater deve parlarcene per forza e non finirò mai di complimentarmi con la bravura di questa donna nel gestire la prosa per adattarla alle sue esigenze narrative (studiatevela se volete cimentarvi nella scrittura di romanzi). L’ho trovato un personaggio molto dolce, nonostante non abbia una storia particolarmente limpida alle spalle. Ma si può cambiare, no?

Proprio il cambiamento è uno dei fili dei conduttori della storia: può avvenire in seguito a un evento traumatico, può stravolgere una persona come la conoscevamo, può rimanere a covare sotto la cenere per anni, può avvenire contro la nostra volontà. L’importante è andare avanti, evolvere, non rimanere ancorati a un passato perso.