Nel 1940 Hieronymus Falk, detto Hiero, è un bel ragazzo di colore e un genio della musica.
Dei componenti gli Hot-Time Swingers, una band di jazz già nota nei locali più famosi di Berlino e d’Europa, è il talento puro, il trombettista capace di prodigiose improvvisazioni mentre, come Robert Johnson, dà sfrontatamente le spalle al pubblico. Nella band vi sono buoni musicisti, come Chip Jones, ed onesti esecutori, come Sidney Griffiths, afroamericani approdati nel vecchio continente a cercare fortuna e a lasciarsi alle spalle il razzismo degli Stati Uniti del Sud. Ma soltanto Hiero è l’innovatore, il Louis Armstrong tedesco, il genio ammirato sui palcoscenici di mezza Europa.
Nel 1940 gli Hot-Time Swingers e Hiero sono a Parigi, città nella quale sono appena entrate trionfalmente le truppe di Hitler. Registrano un disco, producono un suono strabiliante mai sentito prima e aspettano con ansia che Hiero riceva un visto per l’America, poiché per i reparti della Gestapo, acquartierati sugli Champs-Élysées, quel ragazzo che suona divinamente la tromba è, più di Chip e di Sidney, un’onta intollerabile, una «vergogna nera». Hiero, infatti, appartiene a un gruppo raro e ristretto: i «bastardi della Renania», i figli nati da donne tedesche e dai neri provenienti dalle colonie africane francesi.
L’attesa si rivela, tuttavia, vana. In un amabile caffè parigino la Gestapo arresta il ragazzo, lo accusa di corrompere la razza ariana, di essere un apolide e un comunista, lo trattiene a Saint-Denis per due settimane e poi lo spedisce nel campo di Mauthausen.
Trascorrono gli anni e degli Hot-Time Swingers resta la leggenda delle strabilianti registrazioni parigine, leggenda che costituisce la fortuna dei componenti della band sopravvissuti, Chip e Sidney innanzitutto. Di Hiero, del ragazzo che suonava come un Louis Armstrong tedesco, restano solo voci disparate e tristi. C’è chi dice che sia morto nell’agosto del ’48 a causa di un’embolia polmonare, chi che se n’è andato a causa di una pleurite, chi, invece, con un’immaginazione più romantica, parla di un arresto cardiaco dovuto alla denutrizione sofferta nel campo.
Dalle rovine del passato emerge, tuttavia, a volte la verità. Verità che, nel caso di Hieronymus Falk, prende il crudele aspetto di uno sconvolgente, insospettabile tradimento.
Pluripremiato nei maggiori concorsi letterari internazionali, Questo suono è una leggenda è stato un bestseller internazionale che ha consacrato Esi Edugyan come una delle voci più originali e di talento della narrativa mondiale.


Questo romanzo ha attratto la mia attenzione perché racconta una parte della storia della Germania nazista meno conosciuta ed esplorata: la guerra alle cosiddette arti degenerate, tra le quali il jazz, e la condizione delle persone nere, finite anch’esse nei campi di concentramento.

Lo trovo un libro appropriato alla Giornata internazionale del rifugiato, visto che racconta di quanto possa essere terrificante stare in un Paese senza documenti, con al potere un regime che ti è ostile e con la paura costante di essere arrestato e di fare una brutta fine, senza che nessunə finisca per sapere più nulla di te.

Il romanzo è diviso in sei parti, ambientate alternativamente nel 1939/1940 e nel 1992 e racconta la storia di un gruppo jazz dal punto di vista di Sid, forse il suo membro meno talentuoso. Si tratta di una storia dolorosa e proprio per questo sono rimasta spiacevolmente colpita dal fatto che non mi abbia trasmesso granché.

Penso che il problema sia risieda nel fatto che Edugyan abbia mancato il centro del bersaglio nel tentativo di colpirne più di uno con una sola freccetta. Ci sono un sacco di temi, infatti, dai cosiddetti “bastardi di Renania” al jazz, dalla disumanizzazione alla violenza istituzionalizzata, ma nessuno di questi occupa abbastanza spazio da avere la forza di colpire duro chi legge.

Ci sono delle parti interessanti, ma gran parte del romanzo mi è sembrato poco incisivo: ciò non lo rende brutto, ma lo fa rientrare in quelle lettura tranquille senza infamia e senza lode.

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