Anatole France pubblicò questo racconto nel 1902. Da allora, e fino agli anni Venti, ha avuto un destino di splendido isolamento: edizioni numerate, rare, ornate di incisioni originali, tipograficamente perfette. È un isolamento che il racconto merita e che continuiamo a dargli presentandolo nella traduzione di Leonardo Sciascia a un pubblico più vasto. È – come dice Sciascia – un apologo e un’apologia dello scetticismo: forse particolarmente salutare in un momento in cui muoiono le certezze al tempo stesso che di certezze si muore.


Aaaaah, France, France… è sempre una garanzia: in venti paginette (tanto dura questo apologo, se non includiamo la Nota di Leonardo Sciascia, che ne è anche l’illustre traduttore), riesce a far arrivare a lettrici e lettor* il suo messaggio.

Devo confessare di essere arrivata in qualche modo preparata al finale perché conosco Anatole France e ho capito fin dalle prime pagine dove sarebbe andato a parare, e un po’ mi dispiace: sento come se mi fossi persa una parte della forza con la quale avrebbe potuto colpirmi.

Quindi, il mio consiglio, se non conoscete questo autore, è di iniziare proprio da Il procuratore della Giudea, visto che è facilmente reperibile nel catalogo di Sellerio (e, con i libri di France, la reperibilità nella nostra lingua non è proprio da dare per scontata).

Non voglio dirvi di più perché è una di quelle storie delle quali meno si sa e più ci si godono, ma spero di avervi incuriosito perché France è un autore abile a ricordarci concetti che di questi tempi non sembrano poi tanto diffusi…

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