Buon lunedì, prodi seguaci! ^^

Dopo averlo messo in lettura su Goodreads da circa una settimana, ieri finalmente mi sono decisa a iniziare davvero La signora Dalloway di Virginia Woolf, insieme alle ragazze di LiberTiAmo: dopo un faticoso inizio per ambientarmi nei flussi di coscienza dei vari personaggi, mi sono letta un centinaio di pagine senza neanche accorgermene! Eh, eh, eh…

Ma aveva sempre detto e ripetuto di avere in uggia le vecchie zitelle, i fessi, i falliti, come lui probabilmente, nessuno aveva il diritto di starsene con le mani in mano, bisognava darsi da fare, essere qualcuno; e tutti quei gagà, quelle duchesse, quelle vecchie contesse incartapecorite che s’incontravano nel suo salotto – gente che a Peter pareva lontana le mille miglia dall’essere qualcuno o qualcosa – agli occhi di Clarissa rappresentavano il mondo intero. Lady Bexborough, ella aveva detto una volta, non s’appoggiava mai allo schienale della poltrona (così era Clarissa stessa; non si abbandonava mai nel vero senso della parola, era sempre diritta come un fuso, per non dire un po’ rigida). Diceva, Clarissa, che quella gente aveva una sorta di coraggio, che le pareva più degno d’ammirazione via via che andava avanti negli anni. In tutto ciò, beninteso, c’era molto di Dalloway; molto di quello spirito di classe governativo, ligio alle tradizioni, alla riforma delle tariffe, all’Impero Britannico. Spirito che, come accade spesso, l’aveva completamente assorbita. Intelligente il doppio del marito, era stata costretta a vedere le cose attraverso gli occhi di lui: una delle tragedie della vita coniugale. Quantunque avesse una sua mentalità, quella donna doveva sempre citare Richard – come se dopo aver letto la «Morning Post» del mattino non si sapesse dall’a alla zeta ciò che pensava Richard.


Clarissa Dalloway, moglie di un deputato conservatore, prepara la sua festa per la sera; Septimus Warren Smith, sopravvissuto alla “grande guerra”, nel frattempo passeggia con la moglie Rexia a Regent’s Park in preda ai suoi deliri. Nulla sembra legare i due, se non la città di Londra. I due senza incontrarsi, ma passando per gli stessi luoghi, tessono il filo sottile di corrispondenze, di echi ed emozioni che crea il romanzo.