
Se Mikami Yoshinobu, il capo ufficio stampa della polizia regionale, potesse trasferire lo sconforto che prova nel corpo di un suo nemico, quest’ultimo stramazzerebbe di schianto per il dolore: sua figlia Ayumi è scappata di casa, a soli sedici anni, e da tre mesi è introvabile.
Questo crime giapponese – paragonato ai romanzi di Stieg Larsson – si apre con una scena all’obitorio dove Mikami, appunto, è stato chiamato per identificare un corpo di ragazza, forse quello della figlia. Che non è, con sollievo dell’ex ispettore. Dolorosi ricordi si fanno strada nella mente del poliziotto riportandolo al 1989, il sessantaquattresimo e ultimo anno dell’era Shōwa, e a un caso che la polizia all’epoca non era riuscita a risolvere. Una bambina era stata rapita e uccisa, nonostante il pagamento del riscatto richiesto. I colpevoli mai trovati. L’impopolare caso Sei Quattro, come era stato chiamato, che da anni ormai aveva steso un’ombra sulla credibilità del dipartimento e delle istituzioni, in una società dove il primo comandamento è quello di “non lasciare mai un crimine impunito”. Lentamente, in modo inesorabile, la maledizione del caso Sei Quattro riprende la sua forma più spaventosa per attirare nuove vittime nella tenebra.
Prima di iniziare con la recensione vera e propria mi sento di fare una piccola considerazione: in questo romanzo (che è del 2012), quasi ogni donna che incontriamo ha lasciato il lavoro perché si è sposata e ha avuto dellз figliз. Pensa a quanto è strano che matrimoni e nascite siano in calo in Giappone: ci saranno anche un sacco di altri motivi, ma, visto che da qualche parte bisogna iniziare, questo mi pare un buon punto di partenza.
Tornando al romanzo, sono molto contenta che mi avessero messo in guardia sul fatto che i gialli nipponici sono piuttosto diversi da quelli che siamo abituatз a leggere da queste parti: essendo Sei Quattro su un vecchio caso, ci si potrebbe aspettare che il protagonista indaghi, abbia delle intuizioni geniali e/o la fortuna di incrociare la prova giusta e riesca a risolverlo. Invece no: Mikami Yoshinobu è il capo dell’ufficio stampa e deve solo recuperare i buoni rapporti con la famiglia della vittima di questo vecchio caso irrisolto in modo da permettere alla polizia di farsi della buona pubblicità.
Una larga fetta di Sei Quattro quindi ruota intorno ai rapporti tra polizia e stampa, rapporti che Yokoyama deve conoscere bene, visto che ha lavorato per più di dieci anni come giornalista d’inchiesta. Ci sono pagine e pagine nelle quali ci si interroga su dove finisca il diritto di cronaca e inizi il diritto alla privacy, sul diritto dellз giornalistз di avere tutte le informazioni in modo da poter valutare cosa pubblicare e cosa no e il diritto della polizia a trattenere qualunque elemento ritenga troppo sensibile, ma con il rischio che ometta informazioni compromettenti.
Tutto questo gestito da un uomo che sente il suo ruolo di capo dell’ufficio stampa come una punizione perché vorrebbe tornare sul campo. Mikami, infatti, è un uomo che non riesce ad accettare la situazione nella quale si trova: di padre di una figlia scomparsa e che non riesce a capire, di capo dell’ufficio stampa che deve avere a che fare con un padre di una figlia assassinata in un crimine ancora senza colpevole condannato e di marito di una donna che dopo tanti anni di matrimonio ancora non sa perché si è sposata proprio con lui.
Tuttavia, sarà proprio in questa condizione di uomo perso e demoralizzato che capirà l’importanza di incontrare la persona di cui abbiamo bisogno e l’umiltà di ammettere che, per quanto si ami qualcunǝ, quella persona speciale potremmo non essere noi. Magari noi siamo la persona giusta al momento giusto per unǝ perfettǝ sconosciutǝ e in quel caso è importante non rifiutarne la responsabilità per non lasciare che tutto scivoli nell’indifferenza e per tenere in vita la fiamma della solidarietà umana.
Sei Quattro è un romanzo lento e a tratti sembra assolutamente inconcludente, ma alla fine ogni elemento è funzionale e porta a farsi l’unica domanda importante: non “chi è stato?”, ma “come sta ogni personaggio toccato da questo terribile caso?”.
Sembra pesantuccio,in effetti. 😅 Ma alla fine può considerarsi comunque un giallo/noir oppure è solo relazioni tra uffici e persone?
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Diciamo che l’indagine c’è, ma è molto diluita tra relazioni tra uffici e persone. È strano perché tutto ruota intorno a un delitto, ma per quasi tutto il romanzo hai la sensazione che si parli di altro: fino alle ultime cinquanta-cento pagine, quando Yokoyama mette il turbo e lì ti viene da rimanere incollato alle pagine fino alla fine. Quindi sì, lo definirei comunque un giallo, ma con un ritmo e un andamento molto diversi da quelli ai quali siamo abituatз.
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Ne sono rimasto interessato, soprattutto nel modus differente di scrivere gialli. Mi piacciono molto i libri che parlano di rapporti umani in tal modo e apprezzo molto quelli lenti ma con un buon ritmo. Lo metto in lista, ottima recensione!
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Sicuramente questo è lento e hai tutto il tempo di conoscere i vari personaggi 😁
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