
When severe drought hit her village in Zimbabwe, Elizabeth Nyamayaro, then only eight, had no idea that this moment of utter devastation would come to define her life’s purpose. Unable to move from hunger and malnourishment, she encountered a United Nations aid worker who gave her a bowl of warm porridge and saved her life—a transformative moment that inspired Elizabeth to dedicate herself to giving back to her community, her continent, and the world.
In the decades that have followed, Elizabeth has been instrumental in creating change and uplifting the lives of others: by fighting global inequalities, advancing social justice for vulnerable communities, and challenging the status quo to accelerate women’s rights around the world. She has served as a senior advisor at the United Nations, where she launched HeForShe, one of the world’s largest global solidarity movements for gender equality. In I Am a Girl from Africa, she charts this “journey of perseverance” (Entertainment Weekly) from her small village of Goromonzi to Harare, Zimbabwe; London; New York; and beyond, always grounded by the African concept of ubuntu—“I am because we are”—taught to her by her beloved grandmother.
This “victorious” (The New York Times Book Review) memoir brings to vivid life one extraordinary woman’s story of persevering through incredible odds and finding her true calling—while delivering an important message of hope, empowerment, community support, and interdependence.
2022 RHC, Task 4: Leggi un libro di qualunque genere scritto da una persona razzializzata e che parla di gioia e non di trauma
Nonostante la vita di Nyamayaro sia una di quelle che lasciano il segno nella vita di molte persone e una di quelle che ha rischiato di finire prima ancora di poter sviluppare il suo potenziale a causa di una terribile siccità, non è stato il racconto in sé di tutte le difficoltà per riuscire a coronare il suo sogno di lavorare per l’ONU ad avermi colpita. Piuttosto, sono rimasta impressionata dal racconto della sua vita in ottica del concetto di ubuntu.
La parola ubuntu viene dalla lingua bantu e significa umanità, ma fa riferimento a un concetto filosofico più articolato che indica più del semplice insieme degli esseri umani. Infatti, ubuntu viene tradotto anche come Io sono perché noi siamo e vuole significare che tra tutte le persone esiste un legame di condivisione che fa sì che la propria umanità individuale si formi in relazione a quella altrui: è un concetto presente in vari Paesi dell’Africa Sub-Sahariana, che lo hanno declinato in maniere anche molto diverse tra di loro.
Nyamayaro racconta la sua storia come di una persona che è riuscita a realizzare il suo sogno grazie alla sua comunità, che l’ha supportata, e così ha potuto lavorare per aumentare il benessere della sua comunità (che grazie al suo lavoro è diventata praticamente il mondo intero). Quindi alla fine tuttз hanno beneficiato del fatto che una singola persona abbia realizzato la sua ambizione, in pieno accordo con il concetto di ubuntu che Nyamayaro ha fatto suo.
È stata una lettura interessante per me che vivo in un Paese talmente accartocciato su se stesso da pensare costantemente alle proprie piccole beghe interne e da aver perso da tempo l’aspirazione a un futuro collettivamente migliore non solo per sé stesso, ma per tutti i popoli del mondo. Non è per niente un bello spettacolo vedere persone perse nella contemplazione del proprio buco del culo, intente a fare il tifo per la Russia o per l’Ucraina, dimenticandosi della gente – gente come loro, come noi tuttз – inerme davanti alla guerra, oppure a ignorare la crisi alimentare in Yemen, che va avanti dal 2016. Dal 2016. Grazie a un’altra guerra, tra l’altro.
È bello leggere che ci sono ancora persone che non si sono dimenticate della solidarietà, che ancora ci provano a rendere questo mondo infame un posto migliore.