Buon lunedì, prodi seguaci!🥗
Un altro Eurovision è passato e da qui a un mese nella mia testa sarà tutto un Hey how! Let’s go! / Folklore and Rock’n’roll / Pleacă trenul! Unde eşti? / Chișinău – București perché sembra una canzone da sagra paesana e mi mette incredibilmente di buonumore, grazie Moldavia.
Tornando ai libri, sto continuando a leggere la mia serie di romanzi giapponesi: oggi tocca a una citazione da La stanza del kimono di Yuka Murayama.
Essendo di base delle creazioni artigianali d’alta moda, i kimono hanno ovviamenti tutti misure diverse. I giapponesi di una volta erano di corporatura più minuta rispetto a quelli di oggi, e quindi anche i kimono sono praticamente tutti piccoli. Comunque la discriminante è lo yuki, cioé la lunghezza delle maniche, misurata dal centro del colletto. La larghezza del kimono si regola quando lo si avvolge intorno al corpo, e la lunghezza si può in qualche modo gestire a seconda di dove si posizione il koshihimo quando lo si lega in vita: solo per lo yuki non c’è niente da fare! Un polso che esca troppo dalla manica: è quanto basta a rovinare l’aria elegante e raffinata di un kimono d’epoca.
Ma il suo punto di forza era avere alle spalle un negozio di confezioni di kimono: sia sui volantini da distribuire per fare pubblicità al suo Yūki sia sulla pagina internet, Asako mise in bella evidenza la frase CORREZIONI DELLA TAGLIA IN UNA SETTIMANA:
Basta qualche piccolo intervento e il suo kimono le starà così bene da renderla irriconoscibile.
Sa il perché?
La differenza tra il raffinato e il dozzinale si misura in millimetri.
«Oh be’! Mi sa che mi devi i diritti d’autore!» disse Tokie con aria tutt’altro che dispiaciuta.
Quando era in negozio, Asako vestiva ovviamente kimono d’epoca, ma iniziò a indossarli anche quando aveva occasione d’incontrare qualcuno fuori. Questo la rendeva indimenticabile anche per chi la vedeva per la prima volta, le fruttava delle lodi sincere e non dei finti complimenti e le dava un argomento per intavolare una conversazione. Nei casi più fortunati, la nuova conoscenza andava a trovarla in negozio: era il potere del kimono, che nessun altro abito avrebbe mai uguagliato. Si pentì davvero di aver sempre posto, fino ad allora, una certa distanza tra sé e quegli ornamenti meravigliosi.

Da tre generazioni, a Tokyo, la famiglia della giovane Asako gestisce un raffinato negozio di kimono. Quella del kimono è un’arte: ogni colore, ogni materiale, modello o fantasia ha un suo significato, che solo pochi sono in grado di decifrare. E quando Asako riceve in dono da sua nonna la splendida collezione privata della famiglia una collezione di kimono antichi, preziosissimi, in cui ogni pezzo è unico e ha la sua storia capisce che è il momento anche per lei di entrare in questo mondo, lasciando il suo lavoro di organizzatrice di matrimoni e cominciando una nuova vita. D’altra parte, suo marito Seiji sembra essersi allontanato da lei, preda dell’infelicità e in cerca di qualcosa che forse Asako non riesce più a dargli. È tramite il negozio di kimono che Asako incontra Masataka, un affascinante sconosciuto di Kyoto che ha dei kimono speciali da proporle in vendita. Tra lui e Asako scoppierà una passione violenta, carica di erotismo e di desiderio, che costringerà Asako a chiedersi che cos’è che vuole davvero dalla propria vita e le farà finalmente capire che cos’è il piacere, quello vero.
Che bella questa rassegna di titoli “made in Japan” 🌸! P.S. Hai visto il video della canzone? Merita e, sì, la avrò in testa per parecchie settimane, così come quella di Achille Lauro (di solito le sue canzoni non mi piacciono, ma questa, chissà perché, continuo a canticchiarla).
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Il video è fantastico, mi hanno già conquistato con quello, poi mi hanno steso con la performance live!😂
Con Achille Lauro passo dall’indifferenza totale all’ascolto compulsivo: tipo Rolls Royce non riuscivo a staccarmela dalla testa e anche Stripper è piuttosto appiccicosa!😂 Quella di Sanremo invece non mi ricordo nemmeno come si intitolava… Mi è dispiaciuto che non sia arrivato in finale, come l’Albania o l’Austria, che pure aveva una canzone molto catchy.
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Penso che sia stato penalizzato dal confronto con i Maneskin: all’estero lo hanno percepito come un loro imitatore 😆.
Di solito, mi capita di riascoltare alcune canzoni per più anni di seguito, ma stavolta, nonostante parecchie canzoni “catchy”, non credo che sarà così. Come dire, ci sono state buone esibizioni dal punto di vista canoro e canzoni carine, ma niente, almeno dal mio punto di vista, di eclatante.
La Francia mi ha stupita, ma era troppo “rave” per i miei gusti. Secondo me, l’Eurovision dovrebbe puntare più su canzoni capaci di coniugare folklore e modernità e meno sul pop generico.
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Anche secondo me, ho letto diversi commenti di quel tipo: una cosa buffa, perché io da italiana non ci avrei mai pensato!😅
Probabilmente no, niente che mi rimarrà passata la sbornia da Eurovision.
La Francia dovrebbe rivalutare le canzoni in bretone, ma non lo faranno perché è arrivata troppo basso in classifica, davvero un peccato. Le canzoni che rispolverano il folklore sono indubbiamente le più interessanti (di solito) ed è il motivo per cui un sacco di persone si lamentano della massiccia presenza della lingua inglese! 😆
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