
“Che fosse stato un sogno, un breve e fugace sogno? No, sapevo bene che non lo era. Perché in tal caso tutto, tutto sarebbe stato solo un sogno: anche il mondo in cui vivevo.”
Una borsa con qualche vestito e le matite per disegnare. Quando la moglie gli dice che lo lascia, il protagonista di questa storia non prende altro: carica tutto in macchina e se ne va. Ha trentasei anni, un lavoro come ritrattista su commissione e la sensazione di essere un fallito. Così inizia a vagabondare nell’Hokkaidō, finché un vecchio amico gli offre una sistemazione: la casa di suo padre, il grande pittore giapponese Amada Tomohiko, rimasta vuota da quando questi è entrato in ospizio in preda alla demenza senile. Il nostr protagonista accetta e si trasferisce lì, ma un inquietante quadro nascosto nel sottotetto e una misteriosa campanella che inizia a suonare tra gli alberi nel cuore della notte gli fanno capire che la sua vita, anzi la sua realtà, sono cambiate per sempre. Con “L’assassinio del Commendatore” Murakami ci ricorda che il mondo è molto più misterioso e incantato di quello che crediamo. E che proprio per questo è un posto meraviglioso in cui vivere.
Fare largo uso dei simboli è una pratica rischiosa. Per loro natura, i simboli permettono di giocare con molteplici significati allo stesso tempo e scrivere quindi romanzi che lǝ lettorǝ può divertirsi a decifrare in vari modi, discutendo con lз suoз simili su qual sia l’interpretazione più convincente. Per non parlare poi dellз criticз di professione che possono scrivere fiumi di spiegazioni su queste opere così labirintiche.
Tuttavia, i simboli sono insidiosi perché, pur veicolando significati immediatamente riconoscibili grazie alla loro diffusione e familiarità, potrebbero comunicarne alcuni non più condivisibili. È uno dei motivi per cui ci piacciono tanto lз autorз che maneggiano vecchi simboli stantii e li rinfrescano dando loro un significato e un’interpretazione che li rendono nuovamente parte integrante delle storie che ci circondano ed entrano a far parte di noi.
Rimuginando a lungo su cosa mi era piaciuto e cosa no de L’assassinio del Commendatore, sono arrivata alla conclusione che Murakami usa i simboli in maniera classica, cioè senza stravolgerne il significato – una cosa che non ho apprezzato particolarmente – ma in un contesto innovativo – cosa che, invece, ho gradito. Penso che questo sia il motivo per cui Murakami viene così spesso accusato di sessismo – a meno che non abbia rilasciato delle interviste inequivacaboli, ma, non seguendolo, non ne ho la più pallida idea. I simboli che ruotano intorno alla figura femminile in questo romanzo sono quasi tutti abbastanza terrificanti e, anche se alcuni posso inquadrarli in un’ottica nipponica, non ho potuto fare a meno di rabbrividire.
Scritto questo, non posso affermare che L’assassinio del Commendatore non mi sia piaciuto. Nonostante non sia la mia tazza di tè, do atto a Murakami di avermi intrattenuto in sua compagnia abbastanza piacevolemente. Non diventerà il mio autore preferito, ma ho tutta l’intenzione di leggere altro di suo – eh sì, Kafka sulla spiaggia, sto pensando proprio a te.
Io l’ho trovato meraviglioso! In generale non amo la narrativa fantastica, ma Murakami è eccezionale
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Eh, invece per quanto mi riguarda, non credo diventerà il mio autore preferito, però scrive romanzi interessanti.
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Non è nemmeno per me l’autore preferito, ma lo colloco in una rosa di scrittori che considero di grande valore e interesse
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