
1974, Addis Abeba: «È venuta a piedi e in corriera, attraversando luoghi che per quasi quarant’anni aveva scelto di dimenticare. È in anticipo di due giorni ma lo aspetterà… » Inizia così, con la paziente attesa di Hirut nella stazione ferroviaria della capitale etiope sull’orlo di una nuova rivolta, il lungo flashback con cui Maaza Mengiste ci conduce ai giorni dell’occupazione voluta da Mussolini nel 1935 e portata avanti con inaudita violenza malgrado i richiami della Società delle nazioni. Quando, il primo marzo 1936, l’imperatore Hailé Selassié, al comando del suo esercito, viene sconfitto a Mai Ceu e costretto all’esilio, sugli altopiani e nei villaggi dell’intero paese le donne e gli uomini etiopi organizzano una resistenza vittoriosa, combattendo battaglie il cui clamore rimanda agli epici scontri dell’Iliade. Tutto avviene secondo le regole talora cruente di una società feudale che vanta però un’antica indipendenza e una solida tradizione militare. Il re è salito su un treno che lo sta portando fuori dal suo paese, ma sui crinali dei colli appare il profilo conosciuto e amato del sovrano. È un inganno? Un miraggio? Forse è il potere dell’ombra, che restituisce ai sudditi fiducia e coraggio. Maaza Mengiste allestisce un doppio palcoscenico: sulle alture, agli ordini del nobile Kidane, si organizzano gli irriducibili combattenti etiopi, Aklilu, Seifu, Aster, Hirut, Fifi, la cuoca e innumerevoli altri; mentre sul terrazzamento a strapiombo sulla valle il colonnello Fucelli fa costruire la base italiana dove si fronteggiano opposte concezioni dell’onore e del coraggio, e si sperimenta con inquietante coerenza come una forma d’arte possa diventare un’arma. Nelle fotografie scattate da Ettore Navarra, il soldato ebreo cui viene dato l’ordine sadico e pornografico di immortalare esecuzioni e nudi femminili, leggiamo insieme talento e crudeltà, obbedienza e indifferenza a se stesso. Incrinate, l’una e l’altra, dal coraggio intelligente di Hirut, che si sottrae al ruolo di vittima del suo obiettivo per assumere quello di testimone e poi custode di un archivio d’immagini che raccontano la Storia e la rettificano.
Anna Nadotti
2021 RHC, Task 19: Leggi un romanzo storico con unǝ protagonista razzializzatǝ o LGBTQ+
Ho voluto leggere questo romanzo dal momento in cui ho letto le citazioni postate dall’account Twitter di Einaudi in occasione della sua pubblicazione in Italia. Adesso che l’ho letto, però, quasi ne sono pentita, non tanto per la storia raccontata, quanto piuttosto per lo stile dell’autrice, che non mi è proprio andato giù e mi ha annoiato a morte durante la lettura.
Il mio problema è stato che da un romanzo storico mi aspetto uno stile più asciutto e interessato a farsi da parte in favore degli eventi narrati. Mengiste, invece, ha fatto l’esatto contrario, infiorettando la sua prosa con una retorica che per me ha finito anche per inficiarne il realismo in alcuni punti. Mi è sembrata quindi una scelta decisamente infelice e mi ha reso la lettura così faticosa da essere quasi respingente.
Il dispiacere è ancora più grande se penso al fatto che la storia è raccontata in modo da sottolinare il ruolo delle donne etiopi nella resistenza all’invasione dell’esercito fascista e che abbiamo tanto bisogno di leggere e diffondere queste storie, così a lungo ignorate. Il dispiacere è ancora più grande se penso a come esce distorto questo punto di vista dallo stile di Mengiste, che a momenti sembra quasi morbosa nel descrivere le violenze perpetrate ai danni delle donne etipi. Ovviamente non metto in dubbio che siano avvenute, ma Mengiste non dà l’idea di volerle semplicemente raccontare, ma di voler indugiare sui dettagli.
Un altro elemento rovinato è stata la presenza di Ettore, un personaggio che intende mostrare la non assolutezza del ruolo di vittima e carnefice: una sola persona può essere entrambi in circostanze e ambiti diversi. Ettore è ebreo ed è ovviamente una vittima dell’antisemitismo del governo fascista; allo stesso tempo, però, è il fotografo dell’esercito e il carnefice che immortala la violenza dei commilitoni. In lui i due ruoli si mescolano e a volte è difficile scinderli del tutto: peccato che – di nuovo! – lo stile di Mengiste renda questo conflitto torbido e ne depotenzi la capacità di turbare lǝ lettorǝ.
Se avete letto questo romanzo, fatemi sapere come vi è sembrato e se sono solo io a essere troppo stucca con questi stili troppo altisonanti.
Dal riassunto sembra originale, pur inserendosi nel tema ormai frequente del fascismo. Peccato per i problemi di stile che citi.
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Ti dirò, ha un punto di vista così inedito che quasi non sembra ambientato durante il fascismo, tanto si allontana dal racconto codificato che abbiamo di quel periodo storico. Sono contenta di averlo letto solo per questo.
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