
Uscito per la prima volta negli Stati Uniti nel 1981, è considerato uno dei testi pionieristici del femminismo odierno. È con questo fondamentale lavoro infatti che Angela Davis ha aperto un nuovo metodo di ricerca che appare più attuale che mai: l’approccio che interconnette i rapporti di genere, razza e classe.
Il libro sviluppa un saggio scritto in carcere nel 1971, uno studio storico sulla condizione delle afroamericane durante lo schiavismo volto a riscoprire la storia dimenticata delle ribellioni delle donne nere contro la schiavitù. Racconta episodi tragici della storia degli Stati Uniti, frutto di miti ancora in voga come quello dello “stupratore nero” e della superiorità della “razza bianca”, ma anche eccezionali e coraggiosi momenti di resistenza. Attraverso le storie di alcune delle figure chiave della lotta per i diritti delle donne, delle nere e dei neri, e della working class statunitense, ricostruisce i rapporti tra il movimento suffragista e quello abolizionista, gli episodi di sorellanza tra bianche e nere ma anche le contraddizioni tra un movimento prevalentemente bianco e di classe media e le lotte e i bisogni delle donne nere e delle lavoratrici. Tensioni e contraddizioni che si ripresentano di nuovo tra il movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta e le afroamericane. La lezione principale di Angela Davis è quella di abbandonare l’idea di un soggetto “donna” omogeneo, nella convinzione che qualsiasi tentativo di liberazione, per essere realmente universalista, deve considerare la storia e la stratificazione delle esperienze e dei bisogni dei diversi soggetti in gioco.
Un testo che offre prospettive cruciali per il rinnovamento profondo di teorie, linguaggi e obiettivi del movimento femminista, in una fase storica come quella odierna segnata da una presenza crescente di donne migranti in Italia e in Europa, e un sempre più allarmante ritorno del razzismo.
2021 RHC, Task 2: Leggi un libro non-fiction antirazzista
Mi aspettavo che Donne, razza e classe fosse un libro molto teorico, invece mi sono trovata a leggere un saggio saldamente radicato nella storia statunitense e capace di parlare con estrema chiarezza della sua tesi, ovvero dell’intreccio di discriminazioni (di genere, razziale e di classe) subito dalle donne nere lavoratrici.
La chiarezza espositiva di Davis lascia pochi dubbi sull’esistenza di questa triplice discriminazione in capo alle donne nere lavoratrici: la sua analisi prende avvio dalla schiavitù e segue la storia delle rivendicazioni femministe (in primis, il diritto di voto) per denunciare la prospettiva unicamente bianca che ha caratterizzato il movimento suffragista e che ha finito per farne emergere i ragionamenti e la retorica razzista.
Pur essendo un saggio incentrato sulla storia degli USA, ci sono molte riflessioni applicabili anche all’Europa, per esempio quella riguardante il mito dello stupratore nero, tornata tristemente in auge con la crisi migratoria (poi non è chiaro perché dovremmo berci questa scemenza se, in quanto donne bianche, ci troviamo a essere “protette” da uomini che non esitano ad augurarci – o minacciarci proprio – lo stupro perché dissentiamo da loro e siamo chiaramente delle donnacce invece che Vere Donne™).
Molto interessante è anche la riflessione sul perché alcune battaglie tipicamente femministe, ed evidentemente riguardanti anche le donne nere, per lungo tempo non abbiano fatto presa tra i loro ranghi, come i diritti riproduttivi. In questo caso, invece di lamentarsi, è bene chiedersi: come mai? In questo caso, uno sguardo più attendo avrebbe notato che anni di sterilizzazioni forzate (a volte fatte addirittura all’insaputa delle vittime) non rendevano le donne nere così recettive nei confronti del diritto all’aborto.
Vi consiglio davvero tanto di leggere perché, sebbene sia un testo del 1981, la sua analisi e le questioni che solleva sono tutt’altro che risolte e può essere utile leggere un classico sull’argomento.