Buon venerdì, prodi seguaci!✂️

Oggi vi scrivo dell’anime che ha messo un freno alla mia apatia nei confronti delle serie tv: mi ero detta di sfruttare la quarantena per recuperare qualche show e non ho praticamente visto niente. Ho iniziato a guardicchiare Kill la Kill perché Netflix me lo metteva sempre in mezzo: le prime puntate sono state un po’ traumatiche, ma con quel quid che mi ha convinto a proseguire la visione.

Kill la Kill si svolge nell’Istituto Honnōji, un liceo gestito con il pugno di ferro da Satsuki Kiryūin e organizzato in una rigida divisione in classi sociali, basata sull’acquisizione nel corso degli studi di speciali uniformi. Queste uniformi (che possono avere una, due o tre stelle) contengono delle biofibre da guerra, che sono in grado di fornire diversi poteri a chi le indossa e vengono chiamate ultrauniformi.

La protagonista, Ryūko Matoi, arriva all’Istituto Honnōji portando con sé una mezza lama forbice in grado di tagliare le ultrauniformi e la sua sete di vendetta: vuole sapere chi ha ucciso suo padre e chi possiede l’altra mezza lama forbice. Scapestrata e attaccabrighe, non se la cava bene la prima volta contro chi indossa un’unltrauniforme e le prende di santa ragione.

Ma poi incontra un’uniforme alla marinara senziente, Senketsu, e le cose inziano a cambiare…

Come scrivevo prima, all’inizio è stata una visione traumatica perché in questo anima c’è una quantità di fan service davvero imbarazzante (ma proprio al livello che vi cadono le braccia): la stessa attivazione di Senketsu è un fan service continuo, perché non è che sia un’uniforme castigata (potete farvene un’idea dell’opening qua sopra).

Io odio il fan service. Detesto vederlo soprattutto in anime belli (in quelli trash dopottutto fa parte del pattume). È stato quasi il motivo per cui ho mollato Kill la Kill dopo pochi episodi.

Ma.

Qualcosa mi ha detto di andare avanti, cioè il fatto che Kill la Kill esplori il rapporto tra essere umano e vestito. È il vestito a essere fatto per l’essere umano o l’essere umano a essere fatto per il vestito? La trama fantascientifica di Kill la Kill permette di riflettere a lungo e in varie direzioni su questo rapporto (dallo slut shaming all’industria della moda, dal classismo all’autodisciplina necessaria per indossare certi vestiti).

In questo mondo la pelle scoperta (alias fan service) può significare molte cose: vergogna, affermazione di sé, liberazione, rifiuto, orgoglio, umiliazione, riscatto… per ogni personaggio, in momenti diversi dell’anime, quella pelle nuda ha un significato diverso e non è lì solo per far sbavare chi guarda.

Non guasta nemmeno che Kill la Kill sia pieno zeppo di donne forti che ti constringono a guardarle per chi sono e non per quanta pelle nuda mostrano. La stessa Mako Mankanshoku, spalla comica e migliore amica di Ryūko, avrà uno sviluppo interessante che andrà molto al di là del ruolo stereotipato che personaggi del suo tipo di solito hanno.

Tutto questo fan service, quindi, alla fine diventa parte armonica della storia e diventa anche una satira alla sua presenza invasiva e non necessaria in altri anime (Aikurō Mikisugi con quei capezzoli e inguine che paiono illuminati da lucine di Natale non si può prendere sul serio).

Quindi io vi consiglio tantissimo di vederla, tenendo duro finché non vi abituate a tutta questa gente mezza nuda, oppure fatemi sapere cosa ne pensate se l’avete già vista!

Buon fine settimana!🌠

Fonte immagini: Wikipedia, Fandom