Buon lunedì, prodi seguaci!☔
Qui marzo è iniziato con la pioggia e con una gran voglia da parte mia di stare a casa a leggere, guardare serie tv e comprare un numero spropositato di ebook su Bookrepublic perché ci sono degli sconti davvero interessanti. Dannazione.
Mentre cerco di resistere alle tentazioni, vi lascio questa citazione da uno dei libri che sto leggendo in questo periodo, Lo spettro del capitale di Sergio Bellucci e Marcello Cini: è un libro del 2009, quando ancora molti eventi importanti dovevano ancora accadere, ma mi sembra contenga delle riflessioni davvero molto interessanti.
Questi lavoratori non producono gli apparecchi, che vengono fabbricati altrove da altri lavoratori secondo la procedura tradizionale della fabbrica di oggetti, ma producono una componente immateriale, l’appuntamento a domicilio con il potenziale consumatore, che diventa precondizione del loro consumo. Dev’essere chiaro che non si tratta del tradizionale lavoro del rappresentante che, autonomamente, va di porta in porta a vendere. Qui c’è un capitalista, il padrone del call center, che a sua volta vende questo servizio al fabbricante di elettrodomestici (che sia lui stesso o un altro poco importa).
Sia per questi lavoratori sia per gli operai che producono gli elettrodomestici l’obiettivo è di massimizzare la produzione, rispettivamente di segni (appuntamenti) e di oggetti (elettrodomestici). Ma mentre nella fabbrica di oggetti il lavoratore deve annullare la propria individualità per eseguire automaticamente e sempre più in fretta lo stesso gesto prestabilito e programmato, nella fabbrica di segni il singolo lavoratore deve sfruttare la propria individualità per inventarsi il modo più efficace per persuadere l’interpellato ad acconsentire all’invito rivoltogli. Nel primo caso il lavoratore manipola un pezzo di materia, nel secondo deve interagire in modo persuasivo con un altro essere umano. La differenza è chiara.
Nel film di Virzì, la protagonista (una ragazza, peraltro intelligente e sensibile) arriva addirittura – e alla fine poi se ne vergogna – a inventarsi, contattando una vecchia signora, un’amicizia d’infanzia mai esistita con la figlia morta, pur di carpirne l’appuntamento. Con la sua capacità seduttiva diventa la migliore, riceve premi e viene indicata come esempio per i colleghi. I più ripetitivi e anonimi producono invece di meno, diventano gli ultimi e vengono messi alla gogna pubblicamente. Il risultato è dunque una competizione sfrenata fra i lavoratori. Trionfa l’individualismo e crolla la solidarietà di “classe”. Non a caso un intervento successivo del sindacato fallisce miseramente.
Questo piccolo ma significativo esempio mette in evidenza le caratteristiche specifiche del lavoro salariato nelle due diverse forme di produzione capitalistica. Se la sinistra le ignora, non coglie che nella fabbrica di oggetti l’origine del profitto sta nella quantità di lavoro salariato (e quindi marxianamente, nel plusvalore), mentre nella fabbrica di segni sta nella sua qualità. E dunque non può capire perché in quest’ultima gli “operai” agiscono come individui singoli, l’un contro l’altro armati, mentre la classe operaia è sparita perché è sparito il collante collettivo che la teneva insieme.

Durante gli ultimi vent’anni il capitalismo ha conosciuto un cambiamento epocale: da un’economia prevalentemente materiale, veicolata dalla legge della domanda e dell’offerta e dalla produzione di merci fisiche, si è passati a un’economia dell’immateriale e alla produzione di un bene intangibile e non “mercificabile”: la conoscenza. In questo passaggio si sta verificando però un pericoloso attrito: il capitalismo tende infatti ad assorbire nelle proprie logiche di privatizzazione e mercificazione il processo produttivo della conoscenza, che per sua stessa natura è un bene comune e collettivo, soffocandone così lo sviluppo. Sergio Bellucci e Marcello Cini studiano questo fenomeno da molto tempo; ne Lo spettro del capitale la loro analisi si concretizza in una denuncia e allo stesso tempo in una proposta. La denuncia è rivolta alla politica, soprattutto alla sinistra, incapace oggi di cogliere i segni di quanto sta avvenendo, e per questo di interpretare e farsi carico dei bisogni dei lavoratori. La proposta è quella di promuovere a sistema una nuova logica produttiva, che oggi sta già emergendo autonomamente dal corpo sociale, basata sugli stessi principi su cui si fonda la diffusione della conoscenza: condivisione, cooperazione e democraticità.