
In un giorno di giugno, durante il tour di presentazione della sua autobiografia, Christopher Hitchens viene colpito nella sua camera d’albergo da lancinanti dolori al petto e al torace. Come scriverà più tardi nel primo di una serie di illuminanti pezzi per Vanity Fair, è il giorno in cui si trovò improvvisamente deportato “dal paese dei sani oltre il desolato confine della terra della malattia”. Nel corso dei successivi diciotto mesi, Hitchens ha continuato a scrivere, a sorprendere i lettori con la straordinaria qualità del suo lavoro e a rifuggire illusori conforti, preferendo affrontare la vita e la morte con entrambi gli occhi aperti. In questo racconto avvincente, descrive acutamente le afflizioni della malattia, discute dei tabù che la circondano ed esplora il rapporto con il mondo, abbracciando l’intera gamma delle emozioni umane. Mortalità è la storia esemplare del rifiuto di accucciarsi di fronte all’ignoto e una lucida indagine sulla condizione umana. Intriso di acuta intelligenza e dell’inconfondibile humour del suo autore, il testamento di Hitchens non è solo una brillante e coraggiosa opera di letteratura ma anche la rivendicazione della dignità e del valore dell’uomo.
È incredibile come nel XXI secolo ancora ci siano credenti che si aspettano che un ateo si converta sul punto di morte per paura dell’inferno o comunque dell’aldilà: è così difficile immaginare di ritenere che la morte sia la fine del nostro essere?
Eppure riesco a pensare a poche cose che tirino fuori la nostra umanità come vedere una persona che sta morendo, con le sue debolezze esposte, e provare compassione per tutto il male fatto e ricevuto, del tutto insensato visto il poco tempo che passiamo in vita, e per tutto il bene fatto e ricevuto, che rischia in gran parte di andare perduto; e poi finire per estendere quella compassione a noi stessə, fragili e umanə, proprio come chi sta morendo, raggiungendo una vicinanza con gli altri esseri umani che prescinde qualsiasi religione o differenza.
Hitchens avrebbe odiato questo discorso smielatissimo. Magari avrebbe detto che lui non voleva nessuna vicinanza con unə qualunque stronzə fondamentalista di una qualunque religione. Difficile dargli torto: i cancri, che siano tumori del corpo o ideologie autoritarie, non possono che suscitare il nostro ribrezzo, dato tutto il carico di sofferenza che portano con loro.
Sono in disaccordo con diverse posizioni di Hitchens (e la noncuranza con la quale parla di cure all’avanguardia in un Paese, gli USA, dove parecchia gente non può permettersi nemmeno quelle standard, è piuttosto raccapricciante), ma Mortalità è un libriccino da leggere per ricordarci che, nel bene e nel male, siamo soprattutto – se non soltanto – un corpo mortale.
