Dopo la morte della nonna, una giovane ragazza danese decide di tornare a Suduroy – l’isola dell’arcipelago delle Faroe da cui proviene la sua famiglia – a cercare le sue origini in una cultura che ha ereditato ma che non le appartiene e in una lingua estranea in cui «non sa neppure pronunciare il suo nome.» L’unico legame concreto con quel mondo è il rapporto con i nonni Marita e Fritz, emigrati in Danimarca negli anni ’30, la sua immaginazione e tutti gli aneddoti che fin da piccola le hanno raccontato. È stata la vita durissima dei pescatori nel mare del Nord, «il posto in cui l’uomo è meno benvenuto al mondo» a far nascere in Fritz il desiderio di un destino diverso, ed è l’urgente desiderio di felicità e la necessità di sfuggire alla durezza della vita a guidare tutta questa grande saga famigliare che si snoda tra la Danimarca e isole sperdute nell’Oceano Atlantico del Nord. Una storia che racconta quasi un secolo di storia e di vite, dall’amore segreto tra Marita e Ragnarr il Rosso, al patto tra Jegvan e Ingrún, la più ricca dell’isola, e allo sfortunato destino del figlio di Beate, passando attraverso la Seconda guerra mondiale, il protettorato inglese e la lotta per l’indipendenza.
Con una lingua ispirata, densa, poetica e a tratti incantata Siri Ranva Hjelm Jacobsen ci parla di amore, di emigrazione, di quello che si perde e si acquista nel nascere in un paese straniero, della nostalgia di casa, della riscoperta delle proprie radici e delle leggende popolari che sopravvivono allo scorrere del tempo. E sullo sfondo di tutta la narrazione, una natura grandiosa e indomita che non si piega mai alla volontà umana e anzi sopravvive nel cuore della protagonista, che non vi è nata, eppure non può fare a meno di amarla.
Non so bene cosa dire di questo romanzo perché la verità è che non l’ho capito. La CE Iperborea si prodiga nello spiegarmi che è un romanzo sull’emigrazione e sulle sue conseguenze nelle generazioni successive degli emigrati, ma leggendo Isola non ho sentito questo tema come così centrale da far girare intorno a esso tutta la presentazione dell’opera.
Sì, si parla di emigrazione, ma sembra anche una saga familiare, un racconto autobiografico, una guida ai luoghi delle Fær Øer, un romanzo storico, una storia di amori travagliati, una storia di ritorno alle origini: insomma, un monte di roba che, però, alla fine, stringi, stringi, non mi ha lasciato niente.
Forse l’autrice, essendo al suo primo romanzo, non ha saputo gestire al meglio tutti i temi e i generi che avrebbero dovuto comporre il mosaico della storia di emigrati faroesi. La citazione, riportata anche in quarta di copertina e secondo la quale Laggiù, sotto il mare, tutte le terre emerse s’incontrano, è molto bella e ci racconta di differenze che si parlano, ma l’ho trovata fine a se stessa, appesa lì senza che il romanzo riuscisse a darle il giusto carico di significato.
Non so se consigliarne o meno la lettura, dipende dai vostri gusti: se come me non amate le storie piene di suggestioni, meglio se passate ad altro; se, invece, siete di quellə che leggono questi romanzi con sguardo sognante, allora Isola aspetta proprio voi.
A me è piaciuto; mi sono piaciute le suggestioni, il ricordare quando si torna nel posto di origine della propria famiglia, ripercorrendo le vite di chi ci ha preceduto. E’ vero, come dici tu, che questo romanzo piace a chi guarda ai luoghi cercandone la poesia, il linguaggio nascosto negli alberi, nei sassi …. L’autrice, che effettivamente ha margini di crescita, scrive per immagini e questo può piacere o meno, però lo sa fare con molta poesia…. ciao!!
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Sì, è uno stile che deve piacere: sono una persona troppo terra, terra per riuscire ad apprezzare tutta questa poesia!🤷💙
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