In una città stravolta e allucinata, in cui ogni cosa si confonde e chiunque è sostituibile, i protagonisti di queste storie conducono ciascuno un’inchiesta misteriosa e dall’esito imprevedibile. Tutto può cominciare con una telefonata nel cuore della notte, come nel caso di Daniel Quinn (Città di vetro), autore di romanzi polizieschi che accetta la sfida che gli si presenta e si cala nei panni di un detective sconosciuto. Ma può anche capitare che chi debba pedinare si senta a sua volta pedinato (Fantasmi); o, ancora, che ci sia qualcuno che s’immedesima a tal punto nella vita di un amico da sposarne la vedova e adottarne il figlio…
Trilogia di New York è da molte persone considerato un capolavoro e da un punto di vista strettamente tecnico sono d’accordo: formata da tre brevi romanzi postmoderni, questa trilogia è una straordinaria riflessione sulla scrittura e sul mestiere di scrivere – e forse anche sui mondi dove chi scrive e chi legge rischia di perdersi.
Tuttavia, Trilogia di New York non ha incontrato i miei gusti e il mio favore: l’ho trovata troppo impegnata a costruire intreccio su intreccio, stanza dentro stanza, indizi su indizi, doppelgänger su doppelgänger, senza curarsi minimamente di andare oltre al mero esercizio di stile. La mia impressione durante la lettura è stata di avere tra le mani l’esempio pratico di una teoria: l’avrei trovato interessante se fosse stato all’interno di un saggio, visto che mi avrebbe aiutato a capire le tesi presentate, ma così l’ho trovato abbastanza fine a se stesso.
Anzi, per quanto in alcuni punti (soprattutto la parte iniziale di ogni romanzo) Auster abbia davvero avuto tutto il mio interesse e la mia ammirazione, con il proseguimento della lettura è subentrata proprio la noia e, complice la presenza del doppelgänger – forse in maniera piuttosto insensata, viste le differenze –, mi è venuta in mente Twin Peaks.
La serie tv di Lynch certo non manca di avvenimenti apparentemente incomprensibili, ma a differenza di Trilogia di New York ha mantenuto vivo il mio interesse, non solo per un generico “voglio vedere cosa succede”, ma anche per il coinvolgimento provato nei confronti dei vari personaggi. Ecco, questo manca completamente in questa trilogia e, nonostante la bravura di Auster, non sono proprio riuscita ad apprezzarla.
Mi dispiace che non ti sia piaciuto per niente. Anche a me non ha fatto impazzire però non mi è dispiaciuto neanche del tutto. Forse, come hai detto anche tu, il vero problema è che è si un libro ben fatto ma non rientrando nei miei giusti non sono riuscita (forse) ad apprezzarlo a pieno.
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Be’, “non piaciuto per niente” è un’affermazione forte: diciamo che svanirà presto dalla mia memoria…😜
Sarà per la prossima… ho ottime aspettative per “La campana di vetro”!😊
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