L’islam è compatibile con la democrazia? Il dispotismo è destinato a prevalere nel mondo islamico, o sarà invece possibile l’affermazione di società pluraliste e democratiche? Quali sono le responsabilità dell’Occidente nell’instaurazione di regimi islamici autoritari, particolarmente ostili alle donne e ai loro desideri e diritti? Come reagire alla paura e al senso d’impotenza scatenati dalla Guerra del Golfo, dalla catena di avvenimenti luttuosi legati agli attentati dell’11 settembre 2001 e al conflitto in Medio Oriente?
Fatema Mernissi cerca antidoti efficaci contro le regressioni autoritarie e la violenza: da un lato, le correnti dell'”umanesimo” musulmano, alimentate dai sostenitori della laicità dello Stato, dalle donne che reclamano libertà, da chiunque nel passato e nel presente abbia opposto resistenza al fondamentalismo. Dall’altro, quello che nelle sue opere più recenti va definendo come “l’islam cibernetico”.
La forza che plasma il mondo islamico di oggi non è tanto la religione – questa è la sua tesi provocatoria – ma piuttosto la tecnologia informatica: le TV satellitari indipendenti come al-Jazira che contrastano la propaganda dei nuovi despoti islamici e la disinformazione delle potenze occidentali, le reti Internet a cui si rivolgono soprattutto i giovani e le donne, in tutti i paesi musulmani. Strumenti cruciali tanto in Oriente come in Occidente, che incoraggiano l’arte del confronto verbale e della mediazione, perché il terrorismo può essere fermato soltanto da un dialogo nutrito di reciproca conoscenza, di giustizia sociale e pacifici commerci.


Islam e democrazia sembra un libro superato: pubblicato all’indomani della Guerra del Golfo, nel 1992, è molto focalizzato sull’impatto della televisione sulle popolazioni di Stati a maggioranza musulmana e racconta di situazioni che ormai fanno parte del passato. Eppure l’ho divorato.

Infatti, Islam e democrazia non racconta il presente, ma sicuramente ci dà un’idea del punto di partenza dal quale ci siamo mossi per arrivare al caos attuale. Ho apprezzato moltissimo l’analisi di Mernissi, che prende inizio addirittura dagli esordi dell’Islam per aiutarci a contestualizzare specificità della cultura araba che altrimenti non avrebbero senso.

Alla fine della lettura mi girava quasi la testa tanto è enorme la complessità della materia trattata, piena di fili diversi che si intrecciano a formare una trama che già allora mostrava le prime avvisaglie del pericolo della radicalizzazione. Eppure poco o niente è stato fatto per sventarlo, sia da parte dei regimi “musulmani”, per niente inclini a educare i propri cittadini ai valori della Carta delle Nazioni Unite; sia da parte dell’Occidente, che si è intromesso a gamba tesa senza alcuna considerazione per le differenze culturali e il rispetto della popolazione civile.

Per certi versi siamo ancora allo stesso punto: ancora oggi vale quanto ho appena scritto sopra. Però oggi abbiamo Internet, che ha delle potenzialità nel diffondere informazioni di molto maggiori a quelle della televisione: l’impressione – spero troppo pessimista – è che i fondamentalisti ne siano i più consapevoli, mentre un sacco di persone che avrebbero gli strumenti per diffondere cultura e smontare gli assunti di chi diffonde merda estremista perda tempo a dimostrare che “gli altri” sono i cattivi, mentre “noi” siamo i buoni.

Lo ripeterò fino allo sfinimento: raffazzonare opinioni sull’Islam perché si è letto qualcosa qua e là serve solo a quelli che le sbandierano sui media o sui loro blog. Stiamo parlando di fenomeni complessi, dove entrano in gioco molteplici elementi (Mernissi cita addirittura il calendario e la difficoltà a trasporre in arabo alcune parole – e quindi concetti – della nostra cultura, come presidente) e nessuno di questi può essere compreso prendendo la via della banalizzazione. Prima lo si capisce, meglio è.

4 stars smaller