Marco Cinquedraghi e i suoi amici hanno scoperto di essere portatori di una peculiarità genetica che si fonda nella leggenda. Sono le nuove incarnazioni di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Ma qual è il prezzo del loro privilegio. A cosa si deve rinunciare per guadagnarsi un destino già scritto? Marco preferisce non chiederselo. Saranno gli errori commessi e le bugie a trascinarlo in una spirale che lo obbligherà ad aprire gli occhi, mentre anche l’eredità di mago Merlino si risveglia e reclama il proprio tributo. Tra amicizie che si incrinano, amori condannati per le colpe del passato, l’ombra di una fata leggendaria e un’indagine su una morte sospetta che sembra portare a una tragica verità, i ragazzi dell’Albion College proseguono il loro cammino per diventare grandi. Ma capire cos’è la vera grandezza comporta un sacrificio che ognuno di loro dovrà affrontare da solo, per salvarsi.
Secondo capitolo per questa serie YA fantasy italiana ben scritta e che non ha niente da invidiare a certi romanzi di dubbio gusto che ci vengono propinati dall’estero.
Si torna all’Albion College e anche a questo giro i problemi non mancano, dai poteri e/o destini più o meno voluti alle intemperanze e/o incomprensioni dei/delle nostr* eroi/eroine. Mettiamoci anche un farmaco dagli effetti discutibili, un informatore misterioso e un club della scherma parecchio equivoco e avremo un romanzo che non suscita mai cali di interesse.
Come per il primo volume, non mi sono persa nel cercare a tutti i costi di trovare le corrispondenze tra il lavoro di Marconero e l’epopea arturiana, ma mi sono semplicemente goduta la storia per quello che è: buon intrattenimento di qualità.
La pecca più significativa che mi sento di segnalare è un’eccessiva richiesta al lettore di sospensione dell’incredulità. Aleggiava già in Albion, ma in Ombre l’ho sentita molto più marcata perché, oltre ai comportamenti “anomali” dovuti all’essere gli eredi dei personaggi del ciclo arturiano e alla strana organizzazione della scuola, c’è anche questo club esclusivo di scherma e questo farmaco consentito che suonano molto strani. Al contempo, però, è vero anche che si lascia intendere che ci sia una spiegazione soddisfacente a tutto questo, quindi mi riservo di esprimere un giudizio più avanti nella serie, quando avrò più elementi per decidere se questa richiesta “aggiuntiva” di sospensione dell’incredulità meritava o meno.
Per concludere questa recensione lasciatemi parlare di questa citazione, che forse non vi dirà niente, ma a me ricorda uno dei romanzi più brutti letti nella mia vita: «Queste formiche che vanno al formicaio […] o è un formichiere?». È possibile che non troverò di mio gradimento i prossimi volumi della serie, ma amerò per sempre Bianca Marconero per questa frase. Appena l’ho letta nel romanzo, ho pensato subito male, poi mi sono detta: suvvia, smettila di essere sempre così maliziosa! Alla fine, nella postfazione che correda questa edizione, l’autrice mi informa che la mia malizia ci aveva visto giusto. Risate a non finire…
Il fatto è che credo – ma la mia memoria potrebbe aver fatto cilecca – di aver conosciuto (la scrittrice) Bianca Marconero proprio grazie a quelle formiche e a quel formichiere. Lessi infatti quel romanzo atroce nel quale, tra un attentato alla lingua italiana e l’altro, si scambiava un formicaio per un formichiere. Naturalmente scrissi la recensione e la postai su Goodreads, dove Bianca Marconero passò a commentare, facendomi notare di non aver menzionato quell’obbrobrio. Andai a sbirciare il suo profilo e… ta-dah! Avevo trovato una nuova autrice da conoscere.
Quindi, vedete, non tutto il male viene per nuocere… anche i libri brutti – e le recensioni negative – servono a qualcosa…