Iridella è una fata. E cosa fa una fata quando si innamora di un Normal? Come ogni ragazza: qualunque cosa, pur di aiutarlo. Soprattutto se è proprio la famiglia della fata ad aver messo nei guai il ragazzo dei suoi sogni.
Si dà il caso infatti che l’amato Gionata lavori per Amet, un’azienda che si occupa dei test di sicurezza per le automobili e che sta per fallire a causa degli infidi cugini di Iridella, i vampiri Blue e Velvet.
Iridella dovrà sfoderare tutta la sua astuzia per aiutare la Amet a sconfiggere questo terribile avversario dai canini affilati.
Dite la verità, dopo aver letto “vampiri”, avete pensato: nooooo, ma ancora!? Pure io l’ho pensato, ma poi ho letto anche Stefania Bertola e mi sono detta che potevo cogliere la palla al balzo e provare qualcosa di quest’autrice. Vampiri contro Amet, infatti, mi è stato gentilmente inviato dalla Feltrinelli (senza che io me ne accorgessi per un intero mese, ma ehi, non sarei la vostra scalcagnata blogger di fiducia altrimenti, no?).
Allora, Vampiri contro Amet è un brevissimo racconto – un piccolo assaggio del romanzo Solo Flora – di appena venti pagine lorde e la prima cosa da dire è che Bertola sa come incuriosire il suo pubblico. O forse sono solo io ad avere un debole per un buon senso dell’umorismo.
Eh, già, sappiate che questa donna ridicolizza alla grande la mania di sparare parole inglesi a caso tipica dell’industriale che vuol darsi un certo tono e penso che quelle due righe sui sogni proibiti di Marchionne dovrebbero inseriti nei manuali di economia…
Il dottor Marchionne della Fiat-Chrysler adora le colazioni di lavoro con i Crash Test Vampyres, e sta meditando di convincerli anche a reinventarsi operai. Sogna un futuro meraviglioso senza pensioni, senza infortuni, senza sindacati.
Inoltre, ho adorato la protagonista, Iridella, fatina con la spina d’acciaio lontana anni luce da eteree fanciulline indifese. Ho adorato un po’ meno il suo modo di esprimersi pieno di maiuscole e punti esclamativi come se piovesse, ma immagino sia il tributo pagato al pubblico molto giovane al quale si rivolge il racconto.
Però devo dire che alla fine mi sono più divertita che infastidita. Anche la scelta di usare il tempo presente, che di solito non mi fa impazzire, non mi è stata d’ostacolo nell’apprezzare questo raccontino. Insomma, Stefania Bertola conosce gli strumenti del mestiere e non ha paura di usarli…