Buon venerdì a tutti e tutte!
Quest’oggi vi parlo di due libri già usciti, uno solo in lingua originale, l’altro anche in italiano: il primo è Fool’s Quest di Robin Hobb, il secondo Epepe di Ferenc Karinthy.
Fool’s Quest è uscito l’11 agosto scorso ed è il secondo volume della The Fitz and The Fool Trilogy, che prosegue a narrare della vita di FitzChevalier, bastardo reale divenuto assassino, protagonista de Il Ciclo dei Lungavista così composto:
Trilogia dei Lungavista
- L’apprendista assassino
- L’assassino di corte
- Il viaggio dell’assassino
Trilogia dell’Uomo Ambrato
- Il risveglio dell’assassino
- La furia dell’assassino
- Il destino dell’assassino
Dato che devo ancora leggere Il viaggio dell’assassino, non mi sono avventurata nella lettura della trama, ma qualche giorno fa mi sono imbattuta in un aggiornamento di stato su Facebook nel quale Robin Hobb si scusava perché nell’edizione americana è spuntato fuori un paragrafo tagliato in fase di editing che correttamente manca nell’edizione inglese.
Questo paragrafo “fantasma” è proprio nell’ultima pagina dell’ultimo capitolo dell’edizione americana: se volete saperne di più, potete controllare nel sito dell’autrice, ma a rischio e pericolo spoiler sulla fine del romanzo.
L’altro romanzo di cui volevo parlarvi, Epepe, è uscito l’11 giugno scorso per Adelphi. È giunto alla mia attenzione per un tweet letto quasi per caso e, una volta letta la trama, è entrato di filato nella mia LdLdL.
Stando a Wikipedia, l’autore, Ferenc Karinthy, era ungherese e, oltre a essere uno scrittore, un drammaturgo, un giornalista, un editor e un traduttore (di Machiavelli, tra gli altri), era anche un campione di pallanuoto. Era figlio d’arte, dato che anche suo padre, Frigyes Karinthy, era uno scrittore, un drammaturgo, etc…, mentre suo fratello, Gábor Karinthy, era un poeta. Si direbbe una famiglia letterariamente talentuosa.
Le informazioni non sono molte: pare uno di quei romanzi relegati tra gli esimi sconosciuti (tranne che in Ungheria, dove Ferenc Karinthy ha vinto numerosi premi). Leggo che, nonostante sia un romanzo del 1970, è stato tradotto per la prima volta in inglese solo nel 2008. E, come se non bastasse, è pure il primo romanzo di Ferenc Karinthy a essere tradotto in inglese. Suppongo che lo stesso primato valga per la traduzione italiana di Adelphi di quest’anno.
Cosa dirvi nello specifico su Epepe? Una sola parola: kafkiano. Per il resto, la trama parla da sola: Ci sono libri che hanno la prodigiosa, temibile capacità di dare, semplicemente, corpo agli incubi. Epepe è uno di questi. Inutile, dopo averlo letto, tentare di scacciarlo dalla mente: vi resterà annidato, che lo vogliate o no. Immaginate di finire, per un beffardo disguido, in una labirintica città di cui ignorate nome e posizione geografica, dove si agita giorno e notte una folla oceanica, anonima e minacciosa. Immaginate di ritrovarvi senza documenti, senza denaro e punti di riferimento. Immaginate che gli abitanti di questa sterminata metropoli parlino una lingua impenetrabile, con un alfabeto vagamente simile alle rune gotiche e ai caratteri cuneiformi dei Sumeri – e immaginate che nessuno comprenda né la vostra né le lingue più diffuse. Se anche riuscite a immaginare tutto questo, non avrete che una pallida idea dell’angoscia e della rabbiosa frustrazione di Budai, il protagonista di Epepe. Perché Budai, eminente linguista specializzato in ricerche etimologiche, ha familiarità con decine di idiomi diversi, doti logiche affinate da anni di lavoro scientifico e una caparbietà senza uguali. Eppure, il solo essere umano disposto a confortarlo, benché non lo capisca, pare sia la bionda ragazza che manovra l’ascensore di un hotel: una ragazza che si chiama Epepe, ma forse anche – chi può dirlo? – Bebe o Tetete.
Non so a voi, ma a me mette i brividi già la trama…
Spero di avervi incuriosito: fatemi sapere nei commenti!
Buon fine settimana! 🙂