In una cittadina del “profondo” Sud degli Stati Uniti l’onesto avvocato Atticus Finch è incaricato della difesa d’ufficio di un negro accusato di violenza carnale; riuscirà a dimostrare l’innocenza, ma il negro sarà ugualmente condannato a morte. La vicenda, che è solo l’episodio centrale del romanzo, è raccontata dalla piccola Scout, la figlia di Atticus, un Huckleberry in gonnella, che scandalizza le signore con un linguaggio non proprio ortodosso, testimone e protagonista di fatti che nella loro atrocità e violenza non riescono mai a essere più grandi di lei. Nel suo raccontare lieve e veloce, ironico e pietoso, rivive il mondo dell’infanzia che è un po’ di tutti noi, con i suoi miti, le sue emozioni, le sue scoperte, in pagine di grande rigore stilistico e condotte con bravura eccezionale.


Di fronte al grande apprezzamento che ha riscosso – e riscuote – questo romanzo sono un po’ titubante all’idea di scrivere una recensione non del tutto positiva. Sono quei momenti in cui un lettore si chiede: «Sarò io a non averci capito nulla?».

Ma tant’è. Fuoco alle polveri.

Ho apprezzato moltissimo la figura di Atticus, avvocato pronto a difendere una causa persa solo per aderire ai dettami della sua coscienza e padre che non si tira indietro di fronte alle domande innocenti e spietate dei suoi figli. È un uomo che ci regala molte perle di saggezza nel corso della narrazione, perle che sarebbe sempre bene tenere a mente nella vita.

Mi sono piaciuti tantissimo anche i figli di Atticus, Jem e Scout, così come il loro amico Dill. Tutti e tre pronti a vivere avventure straordinarie e tutti e tre impreparati davanti al lato oscuro del mondo.

Quello che con me non ha funzionato in questo romanzo è stata la figura di Bob Ewell, il cattivo. Quello che sostiene la segregazione razziale. Quello che si beve anche l’ultimo centesimo. Quello che campa sulle spalle della figlia. Quello che si permette anche di picchiarla quella figlia – e chissà che altro. Quello che è pronto a far impiccare un innocente per non dire l’indicibile. Un mostro. Un vero str****.

Eppure a me Bob Ewell è sembrato un cazzotto in un occhio ne Il buio oltre la siepe. Ma come, un romanzo che denuncia i pregiudizi, la paura dell’altro, del diverso prende come male assoluto un emarginato, senza tra l’altro preoccuparsi di definire tutti gli Ewell come gentaglia spregevole? Se la comunità fosse più interessata alla loro condizione bestiale invece che ad additarli come feccia, probabilmente tutti se la passerebbero meglio.

Questo aspetto mi è sembrato riduttivo e ha tolto spessore alla vicenda, rendendo i personaggi schiavi del loro ruolo nel romanzo. Alla fine tutto mi è sembrato irrimediabilmente piatto e scialbo, privo della forza che mi aspettavo da un romanzo del genere.

3 stars smaller

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