Lontano dai temi del verismo cari a Verga, considerato a suo tempo una polemica denuncia della condizione femminile, Storia di una capinera, adattato per il cinema da Zeffirelli, è piuttosto un grande dramma intimo, sentimentale, umano, spinto fino all’eccesso.
Scritto nel 1869 e pubblicato in volume nel 1871, questo romanzo di Verga, ispirato a una storia vera, ha goduto e continua a godere di una straordinaria fortuna. La giovane Maria, costretta dal padre alla vita del convento pur senza vocazione, scrive all’amica Marianna lettere che testimoniano il suo turbamento di giovane novizia. Maria riscopre nuovi orizzonti in contrasto con la vita monacale e soprattutto l’amore che, osteggiato da tutti, crescerà in lei assumendo una tensione parossistica.
Essendo un’opera giovanile, Storia di una capinera è molto diverso da I Malavoglia. Lo stile dell’autore non era ancora approdato al verismo e certamente non ha la maturità che avrebbe raggiunto in seguito.
Tuttavia è una storia molto amata e letta e non è difficile capirne i motivi. Verga ci racconta la storia di una ragazza costretta a farsi suora, una ragazza ingenua se vogliamo, poco avvezza agli intrighi del mondo.
Maria, la protagonista, ci racconta la sua storia tramite lettere inviate alla sua amica Marianna, che ha vissuto con lei nel convento, ma non ci tornerà perché le sarà permesso di sposarsi. La prima lettera è piena di gioa: Maria è tornata a casa prima di prendere i voti e impara a conoscere il mondo al di là delle mura del convento, la sua bellezza, la sua radiosità. Ma già questa prima gioia è offuscata dalla consapevolezza del convento e si trasformerà in dramma quando capirà che il mondo – e l’amore – le saranno negati per sempre.
Ci chiamano le elette perché siamo destinate a diventare le spose del Signore: ma il buon Dio non ha forse fatto per tutti queste belle cose? E perché soltanto le sue spose dovrebbero esserne prive?