Buon lunedì, prodi seguaci.
Quando ho scelto questo libro per il Piglio dal Mucchio non mi aspettavo che di lì a poco si sarebbe scatenato un dibattito sulla violenza maschile contro le donne: di sicuro, però, non sono rimasta sorpresa dal modo scomposto in cui alcuni soggetti hanno cercato di partecipare alla discussione, dalla negazione dell’evidenza al rifiuto di capire perché #NotAllMen non è la risposta ma è parte del problema.
Per chi vuole genuinamente capire e iniziare a essere parte della soluzione, consiglio la lettura di questo libro, Psicosociologia del maschilismo di Chiara Volpato: chiaro, semplice e pieno di evidenze scientifiche, come potete evincere dalla citazione qua sotto. Ma nel mentre reperite il saggio, potete anche ascoltare l’ultimo episodio del podcast di Valigia Blu, Veri uomini – Il sistema che “uccide” le donne e non solo.
La persistenza degli stereotipi è legata alla presenza di conferme sociali e di pressioni al conformismo. Laurie Rudman (1998) ha chiamato backlash effect le rappresaglie sociali poste in atto nei confronti di chi devia dal tracciato. Se le persone hanno paura di essere oggetto di rappresaglie per il loro mancato conformismo, è facile che ricorrano a strategie di recupero, come, per esempio, nascondere il comportamento deviante, mentire, aumentare il conformismo, che avranno come conseguenze la diminuzione dell’autostima e il rafforzamento degli stereotipi. Rappresaglie di questo tipo sono molto frequenti nei confronti delle donne che rifiutano di conformarsi ai ruoli tradizionali e nei confronti degli uomini che, mostrando delle debolezze “femminili”, possono minare lo status del gruppo di appartenenza. Gli uomini sono molto reattivi di fronte a qualsiasi cosa metta in dubbio la loro mascolinità, fino a mostrarsi aggressivi e a compiere atti ostili per restaurare la loro immagine. Sono stati effettuati, a questo proposito, parecchi studi, che hanno manipolato la devianza di genere, dando ai partecipanti dei falsi feedback per far loro credere di avere delle personalità di tipo mascolino o femminile. Per esempio, in una ricerca in cui veniva loro detto di avere tratti femminili, i partecipanti maschi hanno risposto mostrando una maggiore approvazione dell’impiego della violenza sia a livello interpersonale sia a livello sociale, rispetto ai partecipanti a cui era stato fatto credere di avere tratti mascolini. La paura di essere ritenuti effeminati innesca l’aggressività maschile: si può far ricorso alla violenza per provare a sé e agli altri di essere veri uomini (Willer, 2005).
Gli studi hanno anche mostrato che, quando gli uomini hanno paura di essere giudicati devianti, rispondono rifiutando le donne che minacciano la superiorità maschile. In un esperimento, alcuni studenti, la cui mascolinità era stata messa in forse – era stato detto che avevano raggiunto punteggi elevati di “femminilità” in un test precedente – hanno tentato di restaurare la loro identità virile rivalendosi nei confronti di una compagna descritta come femminista, inviandole più, e più offensive, foto pornografiche, rispetto a quanto fatto da loro colleghi che credevano di aver ottenuto punteggi elevati di mascolinità (Maass et al., 2003). Un altro gruppo che viene percepito come minaccioso per l’identità maschile è il gruppo omosessuale, soprattutto nella sua componente “effeminata”. Usando un paradigma simile a quelli descritti finora, si è visto che uomini minacciati nella loro mascolinità esibivano atteggiamenti più negativi verso gay di tipo “effeminato” piuttosto che mascolino (Glick et al., 2007).
La ragione profonda di questi processi risiede nella tendenza a credere che uomini e donne condividano alcune proprietà immutabili che determinano il loro essere. Le categorie di genere sono categorie potenti, immediatamente accessibili, che vengono facilmente essenzializzate, vale a dire sono percepite come omogenee, mutualmente esclusive, immutabili, in una parola “naturali”. Chi aderisce a questa visione crede che le differenze biologiche tra i sessi determinino le differenze psicologiche e che quindi pensieri, sentimenti e azioni di uomini e donne siano biologicamente fissati e immutabili.

Il maschilismo è ancora tra noi. Irritante e potente, continua a condizionare la nostra vita collettiva. Quali sono i processi psicologici e sociali che sorreggono il fenomeno, frenano il cambiamento e limitano diritti, libertà e creatività delle donne ma anche degli uomini, costretti troppo spesso in ruoli stereotipati?
Chiara Volpato analizza i processi psicologici e sociali che, nelle società occidentali, sorreggono il potere maschile, si oppongono al cambiamento e limitano l’apporto delle donne alla creatività sociale. Esamina i meccanismi di costruzione della presunta superiorità maschile e quelli che perpetuano la subordinazione femminile nel lavoro, nella politica, nei mass media. Il libro è una edizione riccamente ampliata e aggiornata rispetto alla prima pubblicazione di quasi dieci anni fa. Il divario di genere in questi anni, a livello internazionale e nazionale, non è cambiato in modo sostanziale. I progressi sono lenti; persistono troppe discriminazioni e, soprattutto, persiste una cultura ancora per molti aspetti patriarcale. Abbiamo assistito al movimento Me Too, che ha cambiato il panorama delle relazioni tra uomini e donne in molti paesi. Subito dopo, però, l’epidemia di Covid-19 ha pesantemente penalizzato le donne, incidendo sui tassi lavorativi e sulle relazioni familiari. Ma proprio l’esperienza della pandemia ci suggerisce una riflessione: che sia arrivato il momento di capovolgere gli schemi culturali tradizionali e riconoscere che la capacità di cura – tratto stereotipicamente attribuito alle donne – valga più dei principali tratti stereotipici maschili (la forza e il potere)?


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