Queste pagine sono il diario di una studentessa quindicenne che ha ispirato e incantato l’intero continente asiatico e la sua platea di milioni di lettori. Aya ci racconta gli anni dall’adolescenza all’inizio dell’età adulta, una vita come tante, la sua, ma priva di prospettive perché minata dalla malattia che, come scrive, «ha rubato la bellezza della mia giovinezza». Ed è racchiuso qui il potere di questa testimonianza: nella ribellione, nell’ironia, nella fragilità che si trasforma in forza, che fanno di Aya un simbolo, una figura di culto, capace di gridare con voce limpida cosa vuol dire diventare grandi e di insegnarci a contare quante lacrime servono per affrontare le sconfitte. Rimasto inedito per trent’anni in Europa, il diario di Aya conserva oggi, immutata, la sua rara forza.

In tutta sincerità, Un litro di lacrime non è stata una lettura di quelle indimenticabili, sebbene mi sia chiaro perché il diario di Aya, adolescente che scopre di essere affetta da una malattia genetica rara , degenerativa e incurabile, sia diventato un caso editoriale in Giappone. La sua determinazione a vivere per quanto possibile una vita normale hanno sicuramente avuto un grande appeal nella società giapponese.

Leggendolo, è subito evidente il fatto che si tratta del diario di una ragazzina e poi di una giovane donna (il diario copre dai 14/15 fino ai 20/21 anni, quando per Aya è diventato impossibile scrivere) e, sebbene non contenga chissà quali rivelazioni sul senso della vita, è difficile rimanere indifferenti davanti alla sua sofferenza e al suo desiderio di vivere, di fare esperienze, di crescere.

Mi ha fatto molta tenerezza e mi sento di consigliarne la lettura solo per la fatica che è costata la sua scrittura, soprattutto negli ultimi anni, quando per Aya tenere la penna in mano – e quindi comunicare con l’esterno – diventata sempre più difficile a mano a mano che le sue condizioni fisiche degeneravano. È una condizione terribile e claustrofobica quella alla quale l’atassia spinocerebellare ha costretto Aya alla fine della sua vita: le sue ultime parole, comprensibilmente, sono disperate e cariche di dolore.

Purtroppo ancora oggi l’atassia spinocerebellare non ha ancora una cura e l’aspettativa di vita varia a seconda della forma della malattia. Potreste averne sentito parlare in televisione, durante la maratona Telethon, perché è una delle malattie genetiche rare per la quale in quell’occasione si raccolgono fondi per la ricerca.