Buon lunedì, prodi seguaci!🦧
Alla fine la scorsa settimana non ho fatto nulla di quanto mi ero prefissata, sono di nuovo rimasta indietro nel leggere i vostri blog e – indovinate un po’? – se non mi sbrigo a finire Vita e destino di Vasilij Grossman dovrò riportarlo in biblioteca senza averlo finito (non una tragedia, c’è sempre MLOL, ma cosa racconto al bibliotecario che mi chiede com’è stata la lettura?). Insomma l’unico aggiornamento positivo riguarda il fatto che, a parte un po’ di catarro, sono di nuovo un essere umano funzionante…
Ora conosco la vera forza del male. I cieli sono vuoti. Sulla terra c’è soltanto l’uomo. Come si spegne, il male? Forse con le gocce di rugiada della bontà umana? Ma è una fiamma che nemmeno l’acqua di tutti i mari e di tutte le nuvole potrebbe spegnere, tanto meno una manciata di gocce di rugiada raccolte dai tempi del vangelo al piombo di oggigiorno…
E dunque, siccome non credo più di trovare il bene in Dio e nella natura, ho smesso di credere anche alla bontà.
Eppure quanto più si estendono le tenebre del nazismo, tanto più constato che gli uomini restano – imperterriti – uomini, persino sul ciglio di una fosse sanguinante o sulla soglia di una camera a gas.
Ho temprato la mia fede all’inferno. È uscita dal fuoco dei forni crematori, dal cemento delle camere a gas, la mia fede. E ho visto che nella lotta contro il male non è l’uomo a essere impotente: per quanto poderoso, il male non può nulla nella sua lotta contro l’uomo. La bontà è debole, fragile: questo è il segreto della sua immortalità. Essa è invincibile. Più è sciocca, più è illogica e indifesa, tanto più è imponente. Il male non può nulla contro la bontà! Profeti, apostoli, riformatori, leader, capi delle nazioni nulla possono contro di essa. La bontà, amore cieco e muto, è il senso dell’uomo.
La storia degli uomini non è dunque la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male. La storia dell’uomo è la lotta del grande male che cerca di macinare il piccolo seme dell’umanità. Ma se anche in momenti come questi l’uomo serba qualcosa di umano, il male è destinato a soccombere.

«Il libro segue con ottocentesca, tolstojana generosità molteplici destini individuali spostandosi da Stalingrado (città doppia: simbolo di difesa e libertà contro la violenza nazista e insieme luogo-emblema dell’Urss staliniana; solo nella “casa di Grekov” si vive secondo onore e senza gerarchie) ai lager sovietici e ai mattatoi nazisti, da Mosca (le stanze del potere, le celle della Lubjanka) alla provincia russa. E raccontando la “crudele verità” della guerra, le storie intrecciate di eroi e traditori, automi di partito ed esseri pensanti, delatori, burocrati, intriganti, carnefici, martiri, personaggi fittizi e reali, inframmezzando la narrazione con numerosi dialoghi (di ascendenza, questi, dostoevskiana), Grossman continua a interrogarsi sull’essenza di sistemi che uccidono la realtà – di conseguenza anche gli uomini – falsificandola, sostituendola con l’Idea. Al posticcio e menzognero “bene” di Stato lo scrittore può opporre soltanto, per quanto ardua e apparentemente impossibile in tempi disumani, la bontà individuale, rivendicando – sommessamente, ma con tenacia – l’irripetibilità del singolo destino umano. Giacché “Ciò che è vivo non ha copie … E dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne”». Serena Vitale