Buon lunedì, prodi seguaci!🐍

Le feste son finite, ma io sono ancora nel loop del folklore e delle storie italiane e sto ancora in compagnia di Carlo Lapucci, con un altro dei suoi saggi, Magia e poesia, questa volta dedicato all’intreccio tra versi, musica, magia e profezie.

Bisogna tenere conto che la parola ‘profeta’ si usa comunemente per indicare chi è dotato di facoltà divinatorie rivolte al futuro; nell’antichità invece con tale termine s’intendeva una persona capace di predire l’avvenire proprio e in quanto era capace di comprendere e decifrare il presente considerati i dati reali, calcolate quali potessero essere le conseguenze, sapeva trarne le conclusioni. Questo vale per i profeti biblici i quali sono soprattutto, secondo la parola stessa, ‘testimoni’, ‘attestatori’, denunciatori degli errori del presente che avrebbero portato mali futuri.

A tale figura va aggiunta anche quella d’indovino che solutore di enigmi, scioglitore di matasse di fatti ai quali non si trova spiegazione, sa venire a capo d’un problema.

Maghi, indovini, profeti non sono corrivi nello spiattellare per filo e per segno come stanno le cose, ma usano menare un po’ il can per l’aia e complicare non poco l’operazione. La storia è piena di vaticini che si sono capiti solo a cose fatte e, non per nulla, un messaggio di cui non si capisce il senso si dice che è sibillino. Un po’ gl’indovini lo faranno certamente per il fatto che è l’unica risorsa alla quale tutti ricorrono quando non sanno che pesci prendere, cosa dire, cosa decidere. A ben guardare però è indubbio che, disponendo realmente di certe facoltà, bisogna agire con circospezione usando precauzioni e grovigli.

Il veggente è la parte più forte finché è il solo detentore della verità, ma diviene subito parte debolissima allorché l’ha rivelata, anche perché, nel caso che si tratti di cosa spiacevole, è la prima persona su cui piovono le saette dell’interessato.

Il poeta, quello vero, anche se non lo rivela o forse non ne è pienamente cosciente, ha in sé la natura del mago perché è il maestro della parola e delle parole. I poeti sanno che in un termine c’è qualcosa di tenacemente collegato con l’anima della cosa designata. I versi e le espressioni che li compongono entrano nell’anima smuovendo un mondo recondito e portando a galla sensazioni e fatti forse superficialmente dimenticati.

Carlo Lapucci, con l’attenzione antropologica che lo contraddistingue, ci conduce nel mondo dei maghi poeti (da Medea alle Sibille, da san Cipriano a Nicholas Flamel, senza dimenticare Nostradamus e Cagliostro) e dei grandi poeti maghi (Virgilio e Dante in primis) e si sofferma anche su quelle formule che spesso ripetiamo a memoria (come, per esempio, Ambarabà ciccì coccò) per farci scoprire la bellezza insita nei grovigli di parole, suoni e versi.