Buon lunedì, prodi seguaci!🍇
Questo sabato sono tornata in biblioteca a prendermi dei libri sulla morte con l’idea di fare come l’anno scorso: invece di dedicare ottobre all’horror come tuttз lз bookblogger normali, io mi dedico alla lettura di saggistica dedicata – appunto – alla morte. Solo che questo libro di Marina Sozzi, Sia fatta la mia volontà, mi sembrava così interessante che ho iniziato a leggerlo subito, nonostante abbia fin troppa roba in lettura. Viva l’organizzazione e la pianificazione!😂
La nostra cultura ha provato quindi a utilizzare la duplice strategia dell’oblio della morte e dell’«occultamento» del morto. Purtroppo, si sono verificate due conseguenze che non erano state previste. La prima: impreparati, soli, molti nostri contemporanei, quando incontrano la morte, si disintegrano internamente e non riescono a far fronte a quella che appare loro come una carastrofe senza rimedio, scivolando in un dolore senza nome, senza via d’uscita, che prende talvolta la strada della depressione maggiore o della nevrosi. In secondo luogo, la consapevolezza della mortalità, che abbiamo voluto mettere a tacere, non è per l’uomo fine a se stessa, non produce solo dolore. Il senso della propria debolezza e vulnerabilità è condizione necessaria per essere capaci di compassione – e dunque di solidarietà – nei confronti del nostro prossimo, percepito come simile. Perduta la percezione dell’umana fragilità, il sostegno reciproco è messo a rischio. E allo stesso modo si atrofizza il senso della responsabilità individuale, su cui soltanto può fondarsi una società democratica e matura. Così la portata morale della morte, che avevamo fatto uscire dalla porta perché la concepivamo legata alla fede nella salvezza dell’anima, rientra dalla finestra, e mostra il suo volto squisitamente umano e terreno. Come dice Borges, «la morte rende preziosi e patetici gli uomini». Il sapere della morte ha una straordinaria potenza, ed è in grado di fondare l’etica laica. Non mi comporto umanamente per timore del giudizio divino, e neppure per un generico quanto incerto amore per l’umanità, ma perché sono consapevole della mia fragilità, vulnerabilità e mortalità e quindi di quella altrui.

Invecchiare è disdicevole, morire inaccettabile. La morte è diventata un pensiero da respingere, la medicina ha il dovere di annientarla. Come un nemico, quello più tremendo. Il senso di sconfitta verso la fine diventa allora insopportabile. Il libro di Marina Sozzi aiuta a toglierci questo peso, a rendere più leggera la vita, ripensando e accettando la morte come un evento naturale, che ci appartiene. Abbiamo diritto a morire bene e come vogliamo, ad alleviare il dolore fisico nostro e degli altri, contrastando la paura del distacco, accettando di essere fragili senza soffrirne. Anzi, con la consapevolezza che la ricetta principale della felicità risiede proprio nell’accettazione della fine, che rende unico ogni singolo attimo.