Buon martedì, prodi seguaci!🐧
Spero che abbiate passato una buona domenica e un buon lunedì: io ho inziato a leggere La versione di Barney di Mordecai Richler, che avevo in lista da eoni e ho fortunatamente trovato disponibile di MLOL. Yeah! Mi sembra proprio un romanzo giusto per questo periodo.
Ho deciso di trascorrere i miei ultimi anni a Montreal, dove d’inverno, nonostante le ossa sempre più fragili, continuo a sfidare le strade ghiacciate. È che in qualche modo trovo giusto vivere in una città che ogni giorno diventa un po’ più piccola, proprio come me. Mi sembra ieri quando i separatisti hanno ufficialmente aperto la campagna referendaria con uno septtacolo andato in scena ad Grand Théâtre di fronte a un migliaio di adepti. Ricordo bene la loro prolissa (oltreché intempestiva) Dichiarazione d’Indipendenza, recitata da una coppia sotto i riflettori. Più che a Thomas Jefferson, sembrava ispirata alle cartine dei cioccolatini:
«Noi, popolo del Quebec, ci dichiariamo liberi di scegliere il nostro futuro.
«Conosciamo l’inverno del nostro spirito. I suoi giorni di ghiaccio, la sua solitudine, la sua falsa eternità e le sue morti apparenti. Sappiamo cosa significa il morso del gelo sulle carni».

Approdato a una tarda, linguacciuta, rissosa età, Barney Panofsky impugna la penna per difendersi dall’accusa di omicidio, e da altre calunnie non meno incresciose, diffuse dal suo arcinemico Terry McIver. Così, fra quattro dita di whisky e una boccata di Montecristo, Barney ripercorre la vita allegramente dissipata e profondamente scorretta che dal quartiere ebraico di Montreal lo ha portato nella Parigi dei primi anni Cinquanta e poi di nuovo in Canada, a trasformare le idee rastrellate nella giovinezza in “sitcom” decisamente popolari e altrettanto redditizie.