
A capo del suo esercito, la regina del Connachta, Medb («Ebbrezza»), si scatena contro un territorio, l’Ulaid, difeso da un uomo solo, il giovane eroe Cú Chulainn: trasgressiva, sensuale, ingannatrice, implacabile la regina; forte, tormentato, leale, terrificante nelle sue metamorfosi l’eroe. Sullo sfondo, un conflitto insanabile, oscillante tra deflagrazione della violenza e ritualizzazione dei contrasti, impulsi e vincoli, caos e regola. Alle vicende militari, punteggiate di duelli, patteggiamenti e stragi, si intrecciano storie di forti passioni, affetti, gelosie, seduzioni, rancori, intimi dissidi. Numerose le tracce di antichi miti pagani: la rivalità sempre rinnovata tra due esseri divini metamorfici che si incarnano infine in due tori portentosi, la maledizione che una dea della fecondità lancia contro i guerrieri dell’Ulaid rendendoli deboli come donne in travaglio, l’intervento di un dio solare per sconfiggere la crisi invernale delle forze vitali. Così ci addentriamo in una sorta di chanson de geste appassionante e fosca, avventurosa e chimerica – quadro superbo del mondo celtico precristiano, della sua età eroica e del suo tramonto. Come l’Edda, anche La grande razzia è una di quelle opere che trascinano magicamente il lettore nel vortice di una intera civiltà. Considerato il capolavoro dell’antica epica irlandese, Táin Bó Cúailnge venne fissato per iscritto tra l’VIII e l’XI secolo in scriptoria monastici e ci è stato fortunosamente preservato integro da due antichi codici. La presente traduzione (la prima integrale e condotta sull’originale) è accompagnata da una Introduzione e da un apparato di note che, quasi un commentario, aiutano il lettore a cogliere la ricchezza di significati del testo.
La grande razzia (alias Táin Bó Cúailnge) è il racconto mitico della guerra che il Connacht mosse all’Ulster per il possesso di un magnifico toro. La simbologia si spreca e bisogna ringraziare Adelphi (e quando mai la malediamo?) per l’edizione annotata e accompagnata da un’introduzione molto interessante, soprattutto per chi come me è appassionata di mitologia (irlandese, in questo caso), ma non è che ne sappia poi chissà quanto.
Il pregio de La grande razzia è sicuramente la simbologia, che intreccia le vicende mitologiche con la lotta tra luce e oscurità, con il ciclo della natura e il succedersi delle stagioni, con la necessità che l’equilibrio sia mantenuto, con il terrore che una donna salga al potere e si dimostri più virile del marito. Con ovvia rottura dell’equilibrio (niente rompe più gli equilibri che scombinare i ruoli di genere, segnatevelo).
Il difetto è che dopo aver letto per l’ennesima volta dell’uccisione di Tizio, Caio o Sempronio a opera di Cú Chulainn, figlio del dio Lúg e della sorella del re dell’Ulster e giovanissimo eroe in grado di contrapporsi da solo all’esercito del Connacht, il latte alle ginocchia inizia a venire. E questo nonostante la mia grande passione per la mitologia e la mia resistenza granitica alle kenningar, alle divagazioni e alle ripetizioni tipiche di poemi e prose epiche.
Quindi il mio consiglio è di recuperare La grande razzia se la mitologia (irlandese) vi piace davvero, davvero tanto. Altrimenti potete sempre leggervi il racconto in qualche libro che racconta la mitologia irlandese senza aver bisogno di leggere di Cú Chulainn che ammazza questo o quello per pagine e pagine.

L’epica irlandese, mi duole dirlo, è una delle meno appassionanti: per stile narrativo, intendo, non certo per gli argomenti che sarebbero pure affascinanti. Naturalmente è un mio parere, ma la trovo abbastanza pesante rispetto ad altre.
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Sì, infatti le note erano più interessanti del testo!😅 Soprattutto quando ci sono pagine e pagine di Cú Chulainn che ammazza quello e quell’altro😩
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O___ò alla faccia della recensione
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🤷🏻♀️
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