
«La pietra fu usata prima per i sepolcri che per le abitazioni». Con arguzia epigrafica le parole di Miguel de Unamuno riaffermano una verità incisa su millenni di storia umana: la paradossale antecedenza della morte sulla vita. Dalla consapevolezza della fine biologica – stigma della nostra specie – muovono infatti le civiltà per allestire il loro apparato materiale e immateriale, i monumenti che sfidano la caducità, le grandiose visioni religiose che prefigurano l’inconoscibile, i sistemi di pensiero che elaborano il senso della finitezza, i codici morali che regolano la condotta personale e il vivere associato. Senza l’onnipervasività della morte non esisterebbe nulla di tutto ciò. William M. Spellman rende omaggio a questa signoria insieme drammatica e feconda, ripercorrendone i tempi e i modi dal Paleolitico a oggi. Convoca concezioni dell’aldilà e idee di immortalità – incarnata, disincarnata, sociale, ossia affidata al solo ricordo – e reincarnazione, teorie mortaliste, pratiche di congedo dei morenti, culti degli antenati, riti funerari, espressioni del lutto. Ma il grandangolo di Spellman inquadra anche un’assenza. Adesso, nel pieno di una «rivoluzione della mortalità» che ha invertito la spaventosa percentuale di morti premature o violente tipica dell’intera vicenda dell’uomo, è proprio il morire a venire occultato culturalmente. La dilatazione tecnologica del fine-vita espelle l’esperienza della morte dallo spazio domestico e finisce per spezzare il legame di appartenenza tra i vivi e i morti che aveva confortato la nostra fragilità. Negare la morte non ci aiuterà a vivere meglio.
Breve storia della morte è un buon libro per iniziare ad avventurarsi in quella che è la storia di come gli esseri umani abbiano affrontato la morte dalla preistoria a oggi. Il libro si concentra sul cosiddetto Occidente, ma butta un occhio anche in altre aree geografiche e altre culture.
Per chi è espertə di morte e dintorni risulterà quasi sicuramente un libro noioso: essendo una breve storia non è granché approfondita, ma fornisce un buon punto di partenza per andare a esplorare (nelle note troverete una ricca raccolta di libri che parlano di morte). Da profana, posso dirvi di aver notato che, soprattutto nel racconto che Spellman fa della preistoria e dell’inizio della storia, ci sono diversi elementi dati per certi che so essere messi in discussione dalla storiografia.
Nel complesso, è un libro che consiglio: non è troppo sofisticato, pensato anche per chi non ha particolari conoscenze filosofiche pregresse, e nessunə può eccepire che l’argomento non lə riguardi.
L’elemento più sorprendente per me è stato leggere quanto la concezione della morte sia cambiata attraverso i secoli: ero propensa a credere che la morte fosse sempre stata più o meno affrontata negli stessi modi, fatte salve le diverse religioni e l’ateismo. Invece, le vite degli esseri umani sono cambiate tanto quanto è cambiata la loro morte: vale davvero la pena di indagare sulla nostra fine, per quanto il solo pensiero possa risultarci sgradevole, anche solo per tutte le informazioni che ci dà su come viviamo il nostro tempo e il nostro spazio.
