“Cara suocera, ti odio!
Con quella tua faccina cadente e raggrinzita da sessantacinquenne, mi sorridi dolcemente, quando dentro di te stai pensando alla prossima frecciatina per farmi sentire inutile, insulsa, instabile, inadeguata, insipida, incompleta, inerme, inadempiente, insoddisfatta… tutta una serie di aggettivi che iniziano per IN che ti piacciono tanto, per potermi dominare e annientare.” (cit.)
Può una suocera essere così invadente, arrogante e prepotente da distruggere una famiglia? O essere così perfida da ingiuriare e calpestare l’onestà di una nuora per screditarla agli occhi del proprio marito e del mondo?
Può essere così infida da minare la sua autostima e annichilirla fino a farne la propria bambolina di giochi perversi? O essere così subdola e diabolica da raggirare e triangolare, per creare zizzania all’interno della coppia?
Clarissa può! Infatti si presenta a casa di Daphne e Andrea, al ritorno dal loro viaggio di nozze, e non se ne va mai più. Quella che doveva essere una visita di piacere, diventa un incubo per Daphne che, anche questa volta, sarà costretta ad andare in terapia per ritrovare la propria identità e la propria famiglia.
“Finché suocera non ci separi!” è il secondo libro della serie “Cara, ti odio!”, dopo “Cara cognata, ti odio!”
Questa serie vuole raccontare con ironia e sarcasmo tutta una gamma di relazioni problematiche di personaggi, caricature di se stessi, con cui quotidianamente ci scontriamo, spesso portate al limite del paradosso, del buonsenso e della comprensione.


Avendo voglia di farmi due risate, mi sono buttata su Finché suocera non ci separi, il secondo volume della serie Cara, ti odio!, di cui avevo già letto Cara cognata, ti odio!.

Ho trovato l’inizio maledettamente lento, tanto che il mio lato da recensora sadica era già stato solleticato. Poi piano, piano il romanzo ingrana e comincia a divertire. Quello che mi ha fatto storcere il naso è stata la palese bastardaggine della suocera, che, come da copione, si mette tra moglie e marito nel tentativo di difendere il figlio. Infatti, è così cattiva che è già stata una pessima moglie (vedi marito zerbino con attacchi isterici) e una pessima madre (ha abbandonato i figli). Quindi già questo indebolisce un po’ forza alla suocera terribile, perché toglie al personaggio quel lato subdolo che chi ha avuto a che fare con certe mammine conosce bene.

Un altro aspetto che mi ha lasciato perplessa è stato il modo in cui si accenna all’aborto. Capisco che è un romanzo che mira a divertire, ma due paroline in più le avrei spese. Anche se fossero state solo parolacce rivolte alla suocera.

Altro appunto di fastidio: le ripetizioni. Sopratutto nella prima metà, questo ribadire continuamente “Io-sono-una-donna-cazzuta-tu-non-me-la-farai” stanca. Con qualche sforbiciata in fase di editing, il romanzo ne sarebbe uscito più fluido.

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