Buon lunedì, prodi seguaci!👭
Siamo arrivatə a dicembre, sul blog sta cadendo la neve ed è tempo di lucine, Whamageddon e cavallucci: perché non accompagnare tutta questa letizia con un libro che fa un po’ incazzare e un po’ venire il magone? Eccovi una citazione da Perché contare i femminicidi è un atto politico di Donata Columbro.
Un avviso importante: qui non si troveranno analisi statistiche sui dati più recenti relativi alla violenza di genere, perché il mio obiettivo non è usare i dati disponibili, ma mostrare che quando i dati mancano o sono pubblicati in modo approssimativo, aggregato e non coerente con le linee guida internazionali, basate su più di trent’anni di studi di genere e conferenze internazionali, anche le leggi e le pene più severe non servono a fermare i femminicidi. Delegare la responsabilità di fermare la violenza alle misure repressive non salverà le donne, ma nemmeno aiuterà a riflettere sulle origini della violenza maschile, che si annida in una dimensione del potere legata a modelli, aspettative – anche relazionali – che fanno male pure agli uomini.
La tesi di questo libro è che nominare, definire e raccogliere dati sui femminicidi significa mettere in discussione strutture patriarcali, pratiche giuridiche e statistiche che spesso occultano o minimizzano la violenza di genere.
I dati, se disponibili, rendono visibile ciò che è sistematicamente reso invisibile, generano consapevolezza pubblica, alimentano il dibattito politico e forniscono strumenti per la giustizia e la prevenzione.

Descrizione: Contare i femminicidi non è un esercizio di precisione statistica, ma un atto politico.
In Italia, non esiste un registro ufficiale dei femminicidi, e il modo in cui vengono classificati gli omicidi di donne rispecchia un sistema che spesso minimizza la violenza di genere. Chi decide cosa contare? E soprattutto, chi ha il potere di negare la rilevanza dei numeri?
In Perché contare i femminicidi è un atto politico, Donata Columbro, giornalista e divulgatrice esperta di dati, decostruisce l’idea della neutralità statistica e mostra come il conteggio dei femminicidi sia una questione di potere e resistenza.
Attraverso un resoconto tra storia, giornalismo d’inchiesta e attivismo, Columbro esplora il modo in cui i femminicidi vengono registrati nei dati ufficiali e rivela molto sulla percezione istituzionale della violenza di genere. In Italia, l’assenza di un registro ufficiale implica che la violenza sulle donne venga inglobata in statistiche più generali, rendendo difficile una lettura chiara del fenomeno. Per questo motivo, il lavoro di raccolta dati condotto dai movimenti femministi e dalle associazioni assume un’importanza cruciale. A livello internazionale, esperienze come quelle di Brasile, Argentina e Messico dimostrano quanto il monitoraggio dal basso possa essere efficace nel denunciare e contrastare il problema. Questo approccio rientra nel cosiddetto “femminismo dei dati”, una prospettiva che vede nella raccolta e nell’analisi dei numeri uno strumento di giustizia sociale e attivismo politico, capace di sfidare le narrazioni ufficiali e proporre un cambiamento concreto.
Perché contare i femminicidi è un atto politico non è solo un’analisi tecnica, ma un appello a riconoscere la violenza di genere anche attraverso le sue rappresentazioni numeriche. Perché i numeri sono storie, le statistiche sono strumenti di potere, e contare significa dare visibilità a chi non ha voce. Contare i femminicidi non è solo statistica, ma un atto politico.
“Il femminicidio non è un fatto privato, ma l’espressione di una violenza e di un abuso di potere sostenuto dalla struttura patriarcale delle istituzioni e di una cultura che vede l’egemonia maschile come normale, statisticamente e socialmente.”


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