Copertina di La bellezza è una ferita di Eka Kurniawan: raffigura una donna sensuale di spalle per metà voltata indietro. Porta un ombrello cinese arancione e ha un fiore rosso nei capelli raccolti.

CW: stupro

Descrizione: Il villaggio di Halimunda, nel cuore dell’isola di Giava, incanta da sempre abitanti e forestieri con le sue storie. Dalla principessa Rengganis, che sposò un cane perché nessun uomo era degno di lei, a Ma Iyang, che volò via da una rupe anziché rassegnarsi a un’esistenza infelice, una moltitudine di anime bizzarre e tormentate ha popolato la comunità di pescatori nel corso dei secoli. L’ultima erede di questa genia di figure prodigiose è Dewi Ayu, la prostituta più richiesta del bordello di Mama Kalong, madre di quattro irresistibili figlie. Le loro vicende di passione e dolore, lusinghe e violenza, si intrecciano alla storia dell’Indonesia del Novecento: all’avidità del colonialismo europeo e alla ferocia dell’occupazione giapponese, al sangue della rivoluzione comunista e alla brutalità della dittatura. Con romanticismo tragico e un’ironia strepitosa, che fa scintillare di luce grottesca lo squallore e il dramma, Eka Kurniawan dà forma a una saga caleidoscopica, ricca di magia, che è al tempo stesso il ritratto di un paese affascinante e una lucida e accorata lezione d’amore.

Divisore

Se non fosse per un solo elemento, sarei qui a scrivere bene di questo romanzo: ha il sapore della grande saga familiare intrisa di realismo magico e, se vi piace il genere, Kurniawan è sicuramente un autore da tenere presente. Peccato per la massiccia e sgradevole presenza di stupri: non è un’esagerazione dire che quasi tutte le donne che compaiono in questo romanzo vengano violentate, alcune più di una volta. Capisco che faccia parte del racconto del colonialismo olandese e della sua violenza, ma non è l’impressione che ne ho ricavato io. A me è sembrato che Kurniawan minimizzasse la devastazione provocata dallo stupro e che per lui non sia niente più di un espediente letterario per portare avanti la trama.

Di certo non ha aiutato il fatto che la violenza venga romanticizzata, rendendola conseguenza “naturale” per donne molto belle, soprattutto se mostrano la loro bellezza senza pudore. Come se non bastasse, a questo si aggiunge una certa morbosità nella descrizione degli stupri che definire rivoltante è usare un eufemismo.

Se anche tutto questo volesse mettere in luce il passato coloniale e violento dell’Indonesia, secondo me fallisce nel suo intento perché come contraltare alla violenza non c’è una caratterizzazione delle donne che vada oltre all’importanza che hanno per i personaggi maschili. Anche quando Kurniawan porta avanti la storia dal punto di vista di una di loro sembra che gli uomini siano l’unico senso delle loro vite. Alla lunga, oltre a essere fastidioso, risulta anche noioso e ripetitivo: le donne di questa storia non se lo meritavano proprio.

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Valutazione del libro: due stelline gialle

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