Buon lunedì, prodi seguaci!🔥

Oggi vi lascio una citazione sostanziosa da un libro che mi sta piacendo un sacco e che mi sto leggendo con tutta la calma del mondo, Un altro genere di forza di Alessandra Chiricosta.

Le storie delle sorelle Trưng e di Bà Triệu si originano in uno scenario diverso, in cui il corpo combattente femminile non è negato in sé, in una scissione tra sessualità femminile e capacità di lottare efficacemente. La prospettiva è qui quasi ribaltata: la potenza coloniale e imperiale cinese, portatrice di un’etica e di un’organizzazione politico-sociale patriarcale, oppressiva e sfruttante, viene sfidata nel suo cuore da guerriere che guidano un popolo numericamente inferiore, che si autorappresenta come yin. Lo scacco rappresentato dal successo, anche se temporaneo, delle ribellioni guidate da donne deve essere sanato dall’ideologia imperiale, l’assurdo ricomposto culturalmente attraverso narrazioni che reinseriscano le vicende nel paradigma consueto. L’ostensione dei genitali maschili da parte dei militari occupanti cinesi, rispetto alla quale le sorelle Trưng si sarebbero arrese, è un’invenzione letteraria che bene mostra il legame profondo tra esercizio della forza-violenza e costruzione dell’identità di genere, della percezione di cosa definisce la sessualità nell’ordine patriarcale. Sia le sorelle Trưng che Bà Triệu, però, fuoriescono dalle strettoie della dicotomia che si articola, nella visione androcentrica, tra corpo di forza e sessualità femminile: la loro efficacia combattente non le pone al di fuori dalla possibilità di un desiderio erotico anche eterosessuale, tutt’altro. Trưng Trắc è sposata con un uomo con cui condivide la passione per l’indipendenza e la libertà, come singoli e come popolo: la scintilla che accende la rivolta è costituita dall’assassinio di colui che ama; Bà Triệu è rappresentata come forte proprio in virtù di caratteri sessuati molto evidenti e la guerra che fa scoppiare pone in diretta relazione la libertà di un popolo con la non accettazione del destino di sudditanza, sessuata e sessuale, delle donne. Le combattenti non sono, dunque, al di fuori della sfera del desiderio, al contrario: la loro forza si origina e si accresce in un desiderio profondo, che mette in comunicazione Eros e Ares, nel corpo individuale come nel corpo collettivo. Un desiderio che vuole giustizia.

La forza come violenza e sopraffazione riduce il desiderio a possesso, taglia le ali a Eros per tramutarlo in feticcio del proprio narcisismo, in dispositivo di dominio. Questa forza virile non cerca altro piacere che la conferma di sé. L’eroticità mutilata che da essa prende forma si articola nella polarità malsana che oscilla tra libertinismo individualista e moralismo bigotto, in cui altri sensi del desiderio non trovano modo di darsi. L’eroticità del possesso androcentrico, malata e riduttiva, teme profondamente le possibilità che un corpo testimoniante un altro genere di forza può dischiudere: uscendo dalla presa, non assoggettandosi alla reificazione, non disciplinandosi come oggetto del desiderio, ma come soggetto desiderante e agente, la corpo-realtà combattente femminile risignifica l’eros, ne fa emergere altri sensi, come capacità di conoscenza relazionale e autocoscienza, l’importanza politica, il legame con la giustizia, la forma combattente.

Copertina di Un altro genere di forza di Alessandra Chiricosta: raffigura cinque donne diverse per età, colore dei capelli e di pelle. Sono disegnate in stile fumetto e tutte hanno un pugno appoggiato al palmo aperto dell'altra mano.

Descrizione: I maschi sono forti, le donne sono deboli: sembra un’ovvietà che spiega molto dei rapporti tra uomini e donne, di come si sono strutturati e organizzati nel corso della Storia. I forti tendono a combattere e distruggere, i deboli ad accudire e proteggere la vita: così si è creata una dicotomia che fa della forza una via maestra verso la violenza, e della cura una premessa della mitezza e della pace. Ma siamo sicuri che questa differenza si radichi nella “natura”? E che non sia invece una costruzione culturale, un “dispositivo biopolitico” da smontare per svelare un paradigma che ha limitato fortemente l’esplorazione di altre dimensioni ed elaborazioni di concetti come “femminilità” e “mascolinità”. È il paradigma, non l’oggettività corporea, ad aver articolato le relazioni tra i generi alla stregua di una lotta tra vittima – reale o potenziale – e carnefice – reale o potenziale. Nel pieno del dibattito sulla violenza di genere – dalle molestie ai femminicidi – in un percorso in più tappe, teorico ed esperienziale, l’autrice ridisegna il maschile e il femminile e con essi la mappa del discorso sulla forza distinguendolo da quello della violenza: perché ci vuole una particolare forza sia per non essere “vittime” sia per non esercitare un potere soggiogante.

3 risposte a “Citazione della settimana – “Un altro genere di forza” di Alessandra Chiricosta”

  1. Una lettura che mette il dito nella piaga…

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    1. E lo fa mettendo insieme storie e filosofie europee ed estremo-orientali, scoprendo punti di vista inediti e sentieri poco battuti. Si sta rivelando proprio una bella sorpresa!

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